Signor
sindaco,
refrattario
al politically correct che ha pervaso di sé anche lo stile
relazionale tra persone, non mi rivolgo a Lei con il confidenziale e
un po’ fricchettone “tu” che fa tanto “eguaglianza” e
“democrazia”. Mantengo le distanze: così, oltre ad evitare di
generare equivoci, evito di crearLe imbarazzo e disagio. Capirà
subito il perché e forse, almeno per questo, me ne sarà grato.
Sia
chiaro, scrivo questa lettera senza avere la pretesa/illusione che
poi Lei la legga. Sicuramente ora, a prescindere dalle molte cose di
cui dovrà occuparsi, avrà tante petizioni ed epistole da leggere
recapitate a valanga dalla “sua gente” — i diseredati, i
poveri, i disoccupati, i gay, i “giovani impegnati” di cui la Sua
parte politica rivendica l’esclusivo copyright. Tutte categorie che
hanno la massima priorità e nelle quali io non rientro. Per me Lei
non avrà né tempo né predisposizione d’animo. La capisco e non
la biasimo per questo. Ma io Le scrivo egualmente, “a futura
memoria”, come si suol dire, e magari ad uso e consumo di qualche
Suo compagno di strada.
Signor
sindaco, la Sua prima dichiarazione appena eletto è stata: “Sarò
il sindaco di tutti!”. Oso azzardare che sia stata la Sua prima
bugia da primo cittadino perché Lei, ne sono certo, non vorrà
essere e non sarà il mio sindaco. Nell’euforia della
vittoria probabilmente si è dimenticato della mia (e di quella dei
miei consimili) esistenza; oppure ha voluto essere, nella forma
apparente, oltremodo politicamente corretto — assumendo un impegno
che intimamente, se solo ora, a freddo, pone pensiero e mente, sa di
non poter mantenere. Sono pronto a ricredermi, Signor sindaco, ma
penso proprio che le cose stiano come Le vado dicendo. E sono certo
che se qualcuno potesse domandarLe: “Ma Lei vuole veramente essere
il sindaco di costui e dei suoi consimili?”, come minimo
glisserebbe o si produrrebbe in un qualche artificio retorico pur di
non rispondere nel merito. Molto più probabilmente, se ne uscirebbe
con un'espressione indignatissima nella quale invocare in radice il
male assoluto. Del resto, i più maliziosi mi dicono che molto
semplicemente Lei considera quelli come me dei “non cittadini”,
esseri fuori dal consesso civile: e per questo, quando parla di
tutti, parla di esseri umani, di cittadini. Non di me e di quelli
come me: che in un tempo non molto lontano, quando era già reato
macellare le bestie fuori dal rispetto delle norme, era lecito
uccidere. Con qualsiasi mezzo: “non è reato”, dicevano nel
sodalizio del quale Lei faceva parte o cui era contiguo. E così la
pensa(va)no alcuni degli eletti con Lei al nuovo consiglio comunale.
E dico subito: cosa non pregiudizievole, questa, nel mio argomentare.
Solo gente in malafede e ipocrita può attaccarsi alle Sue passioni e
concezioni di 30 anni fa. Come se si volesse continuare ad imputare a
Paolo di Tarso l'assassinio di Stefano prima della conversione
invece di imputargli i crimini perpetrati da convertito. Insomma,
sapere che Lei a suo tempo fosse convinto che “uccidere un fascista
non è reato” a me non fa né caldo né freddo.
Vede,
io qui ora potrei declinare la mia identità politico-culturale,
dimostrare quanto essa sia agganciata a specificità e radici
antiche, certo, ma anche immersa nel presente e capace di tener conto
di tutte le complessità della modernità e quindi in grado di
rapportarsi efficacemente agli attuali modelli economici e politici,
alle sensibilità e problematicità sociali, nonché ai quesiti che,
non solo la città, ma l’intero pianeta nella sue molteplici
necessità pone. Declinandomi secondo coordinate che io sento come
propriamente mie, dovrei risultare come soggetto politico culturale
dignitoso, senza dubbio tutt’altro che in sintonia con la
concezione complessiva che Lei ha di valori, princìpi, politica e
visione del mondo: cioè tutt’altro rispetto a ciò che Lei è e
rappresenta. Tutt'altro: ma niente affatto “criminale” o
mostruoso.
Se
però Lei derogasse all’imperativo esistenziale del Suo
schieramento ed evitasse di criminalizzarmi, mettermi all’indice,
chiamare a supremo giudice quello che secondo Lei e la Sua parte è
l’irreversibile giudizio della storia — storia che mi avrebbe da
tempo condannato e collocato in una fogna — ebbene se Lei facesse
questo, cioè mi facesse grazia delle ossessioni ideologiche della
Sua parte, lo scheletro dell’impalcatura ideologica che regge la
“forma nuova” con la quale si è presentato alle elezioni
amministrative, scricchiolerebbe paurosamente ed
infine si frantumerebbe. Inoltre dovrebbe affrontare gli strali degli
intransigenti della Sua parte, che tale concessione non Le
perdonerebbero per nessuna ragione.
Quindi
Le tolgo subito il fastidio di indugiare anche un solo nanosecondo
per valutare e decifrare la mia identità. Diciamo che per Lei e per
la quasi totalità degli italiani io sono semplicemente un fascista:
nell’accezione caricaturale partorita dall’antifascismo, però, e
non certo nell’accezione vera o che io potrei accettare o nella
quale potrei eventualmente riconoscermi. Ed essendo come tale
definito e catalogato, prima di argomentare domando: Lei pensa dunque
di essere anche il mio sindaco e di quelli come me? Essere
cioè il sindaco di un fascista? Oppure ritiene più opportuno fare
un passo indietro e porre subito qualche distinguo?
Non
che per me le cose cambino un granché. Si figuri. Con quello che ho
passato e sono disposto a passare per le mie idee (veda al proposito
i suggerimenti di Kipling e Pound, che ovviamente sottoscrivo), credo
di poter vivere bene indipendentemente dalle scelte e prese di
posizione del sindaco e quindi dalla probabile smania
discriminatoria e persecutoria che l’accompagna. Ma a prescindere
dalla Sua eventuale resipiscenza e quindi dalla improbabile
riconferma dell’esternazione post-elettorale, resta la necessità
di puntualizzare: perché ovviamente quel che Lei e i Suoi sodali
intendono per fascismo/fascista non è esattamente quel che intendo
io. Cioè, il vestito ideologico-valoriale cucitomi addosso da Lei e
dai Suoi sodali proprio non mi piace: e più che andarmi stretto ha
l’apparenza di un cencio ignobile e sozzo, più degno di chi l’ha
ideato e tessuto di colui al quale lo si vuole fare indossare. Non è
il mio vestito.
Quindi,
prima di arrivare al dunque, cioè al senso di questa lettera,
vediamo di intenderci. O magari di non intenderci affatto, mettendo
però in evidenza subito che io accetto senza riserve la definizione
che Lei dà di se stesso, le conclamate virtù e le proposizioni
politico-amministrative a cominciare proprio da quel “sarò il
sindaco di tutti”. Le credo. Credo alla Sua proposizione di uomo di
sinistra, moderato ed espressione di una borghesia meneghina
illuminata ed impegnata. E Le faccio persino dono della mia
convinzione che la Sua militanza giovanile nell’ultrasinistra —
tanto evocata e rimproverata dalla cialtroneria destrorsa — Le fa
solo onore; a quel Suo trascorso militante io rendo omaggio
quand’anche si fosse estrinsecato solo nel concorso al furto di un
furgone. Perché io riconosco che Lei da giovane, evidentemente,
aveva sangue nelle vene e vigore ideale tanto da reagire al grigiore
della dittatura democristiana oggi tanto rivalutata ed invocata. Non
fece come altri giovani, veri struzzi metropolitani, che preferirono
ficcare la testa sotto i banchi della Bocconi o le sottane del
privato per non affrontare il grippaggio politico-sociale-culturale
che attanagliò la nostra Nazione e in genere tutto l’Occidente.
Struzzi che oggi, senza vergogna e imbarazzo, portano ben alta la
testa, ergendosi al di sopra del disastro che hanno generato da
quando sono diventati egemonici e tengono ben salde in mano le
briglie del potere. Struzzi che oggi impartiscono lezioni di etica e
La costringono (suvvia, lo ammetta! Ammetta che hanno già messo il
cilicio e la cintura di castità al Suo progetto originario...) a
varare una giunta rosa shocking/shopping piuttosto che rossa. Sa quel
bel rosso?, potente, vermiglio, sanguigno, passionale, immenso come
avrebbe detto un grande poeta inopinatamente fucilato (e dietro il
calcio dei fucili non c’erano mica i fascisti, mi creda); insomma,
rosso orgoglio! L'idea di tinteggiare tutto con il color zucca non è
male, anche se l'arancione alla lunga stanca.
No.
Lei, da giovane, muovendo da un’ideologia che comunque non è la
mia si mise in gioco. Perché allora era necessario spendersi e
metterci del proprio. Forse oggi sarebbe ancora più necessario, ma
questa è un’altra storia che per ora lasciamo da parte.
La
ritengo credibile, dicevo, e infatti son qui a scriverLe proprio
perché la prendo in parola. Ma mi dica: Lei è disposto a fare
altrettanto con me? Lei è disposto a dar credito all’identità da
me declinata distinguendosi dalla quasi totalità dei Suoi sodali
che, come le cozze con lo scoglio, restano abbarbicati alla
pluridecennale asserzione secondo la quale i fascisti mistificano; si
definiscono in termini menzogneri; e le istanze sociali, culturali,
politiche che promuovono sono false, declinate con perfidia al fine
di ingannare la gente? È una domanda retorica, lo sappiamo. La
risposta la conosciamo. Vero?
Lei
e i Suoi sodali, per mettere fuori gioco quelli come me — dopo la
definizione di “fascista” che dalla Vostra prospettiva
sottintende un sacco di cose turpi come razzista, oppressore dei
deboli, omofobo, xenofobo e una volta (ma questo per evidenti ragioni
non osate più dirlo) “servo dei padroni” — avete l’abitudine
di chiamare in causa la Costituzione di cui vi ergete fieri difensori
contro il nemico numero uno: il fascismo. Stucchevole mantra, il
Vostro: che per altro è purissima mistificazione. E non solo perché
nella Costituzione è filtrata una consistente quota parte
dell’ideologia fascista di cui nessuno di Voi sembra accorgersi —
forse perché pochi tra quelli che la citano poi la conoscono
veramente, e tra quei pochi ancor meno si son presi la briga di
studiare la dottrina del fascismo per cui alla fine manca la
possibilità di riscontrare. Non solo per questo singolare aspetto
(che pure meriterebbe una bella precisazione), dunque: bensì anche
perché tutti, ma proprio tutti Voi, maramaldeggiate sull’articolo
che citate per sostenere che il fascista non ha diritto di
espressione né di associarsi.
E
allora mi consenta, prima di entrare nel merito delle questioni
specifiche di Milano, di divagare un po' e di vedere assieme a Lei
come stanno veramente le cose su questa questione.
Voi
citate sempre la prima parte dell’articolo XII delle
“Disposizioni transitorie e finali”, ma mai la seconda
parte. Né nessuno di Voi è in grado di dirci quanto debba durare
questa transitorietà. Ma non fa niente. Facciamo pure conto che
debba durare ancora tremila anni, almeno quanto debba essere inteso
come “provvisorio” l’inno italiano.
Dice
la prima parte del famoso articolo:
«È
vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto
partito fascista».
Sa,
signor sindaco, per quale ragione questa norma figura nelle
disposizioni transitorie e quindi, per dire implicito della medesima
Costituzione, è suscettibile di essere prima o poi rimossa? Perché
all’atto della messa a punto della Costituzione il disciolto
Partito fascista era tutt’uno con l’apparato dello Stato. Lo
Stato era fascista, e il Partito Fascista era lo Stato. La gran parte
dei vertici di comando — corpo insegnante, magistratura, forze
armate, carabinieri, polizia etc. — annoveravano uomini
“compromessi” (direste Voi) con il fascismo. E non era ovviamente
da escludere, non impedendo la costituzione di un partito fascista in
vista delle allora imminenti elezioni, l’aggregazione di tutte
queste forze e personalità, cosa che avrebbe potuto generare un
fortissimo partito fascista vincente su tutti gli altri partiti nella
competizione elettorale. Logico, anche perché tutti gli altri
partiti non avevano ancora avuto il tempo di organizzarsi a dovere e
di farsi conoscere. Del resto l’allora recente referendum
monarchia/repubblica, per quanto aggiustato in corso d’opera a
favore della repubblica (diciamo così per carità di patria) aveva
presentato un paese spaccato a metà. Era logico attendersi comunque
un buon risultato di un eventuale Partito Fascista che – ormai è
storicamente provato – aveva avuto uno strepitoso consenso di massa
(non è solo De Felice a sostenerlo). Quindi bisognava vietare la
costituzione di un Partito Fascista nell'immediatezza della
riorganizzazione del nuovo Stato — peraltro asservito agli
interessi dei vincitori. E che fosse solo questa la ragione lo
attesta proprio il prosieguo dell’articolo XII — la famosa
seconda parte sempre taciuta:
«In
deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un
quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni
temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi
responsabili del regime fascista».
Vogliamo
parlarne? In pratica, stando alla Costituzione, Benito Mussolini dopo
cinque anni avrebbe potuto essere eletto al Parlamento e quindi, a
rigor di logica, tornare a fare il presidente del Consiglio già
negli anni ’50. E ciò è tanto più vero se si considera il fatto
che l’articolo successivo, il XIII, chiarisce chi non potrà mai
essere elettore ed eletto, ricoprire uffici pubblici e cariche
elettive; e anzi, per
sovrammercato, precisa che «alle loro consorti e ai loro
discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel
territorio nazionale». Si tratta dei Savoia, signor sindaco: che
come ben sa, sono poi rientrati in Italia e godono di tutti i
diritti previsti dalla Costituzione. Per cui chi era
definitivamente escluso oggi può diventare presidente della
repubblica o del consiglio. A rigor di Costituzione!
Dunque
una cosa è assolutamente chiara: questo Vostro aggrapparvi alla
Costituzione contro i fascisti e le loro associazioni è
assolutamente strumentale, pernicioso e ormai ridicolo; e a dirlo a
chiare lettere è proprio la Costituzione che Voi invocate.
Perché
l’articolo 49, che non è assolutamente transitorio, recita:
«Tutti
i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per
concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale».
E
in un altro articolo, anch'esso non transitorio, il 17, leggiamo:
«I
cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per
riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto
preavviso».
Né
l’articolo 49 né il 17 menzionano i fascisti come soggetti nei cui
confronti è possibile derogare alla norma. E come abbiamo visto,
quando c’è bisogno di escludere qualcuno (XIII norma transitoria)
la Costituzione è chiara limpida e inequivocabile.
Ma
poi c’è l’articolo 21, che recita:
«Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»
Una
sola cosa proibisce l’art 21: «le pubblicazioni a stampa, gli
spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon
costume». Non so dire cosa sia oggi il buon costume. Di sicuro,
quando la Costituzione è stata scritta non poteva essere inteso
“buon costume” il gay pride di cui la Sua parte politica ha fatto
bandiera e che per Sua implicita dichiarazione Lei ha accolto a
Milano.
E
anche chiamando in causa la Costituzione in merito alla famigerata
legge Scelba (relativa alle Norme di attuazione della XII
disposizione transitoria e finale - comma primo - della Costituzione)
si compie qualcosa di molto simile a una forzatura. Per il semplice
fatto che, richiesta di pronunciarsi nel merito, la Suprema Corte
presieduta dall’ex capo dello Stato Enrico De Nicola ha più
glissato (anche su questioni sollevate da corti giudicanti) che
sentenziato evitando di entrare nel merito del quesito: “l’intera
legge Scelba è costituzionale?”. Siccome oggettivamente questa
legge non lo è, la Suprema corte ha sentenziato che ad essere
investita della questione non è la Costituzione bensì la XII norma
che è “transitoria”. Come dire: fuori della Costituzione!
Insomma, un po’ come il carcere di Guantanamo: il quale, non
trovandosi sul territorio statunitense, non è tenuto al rispetto
della legge americana che tra l’altro proibisce la tortura —
pratica che a Guantanamo è quotidianamente applicata.
Ma
poi di che parliamo, signor Sindaco? Di Scelba e della sua concezione
della legge ovvero delle sue idee in materia? Va bene, ma allora
ricordiamo quel che pensavano di questo democristiano reazionario i
lavoratori e gli studenti degli anni ’50-’60. Io, da fascista,
faccio miei i loro giudizi e, in merito alla questione
fascismo/Costituzione la chiudiamo qui — per il resto è forse
meglio scantonare, non crede? Perché se accettiamo l’idea che
veramente l’art. 1 della Legge Scelba interpreta la XII
disposizione transitoria della Costituzione, allora Lei deve
ammettere di aver aderito o essere stato contiguo ad associazione
parafasciste. Infatti, secondo questo articolo 1, se togliamo le
ultime tre righe che specificamente potrebbero essere dedicate a
quelli come me, per il resto la quasi totalità delle associazioni e
dei movimenti giovanili antagonisti sorti nel dopoguerra ci rientrano
in toto: «si ha riorganizzazione del disciolto partito
fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo
di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche
proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la
violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione
delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la
democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o
svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla
esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del
predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere
fascista».
Ora,
signor Sindaco, Lei certo ricorderà come Lotta Continua, Potere
Operaio, Democrazia Proletaria, Movimento Studentesco e la “sua”
Prima Linea facessero spesso e volentieri ricorso alla violenza e
alla coercizione come “metodi di lotta politica”, per giunta
“propugnando la soppressione
delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la
democrazia, le sue istituzioni”: a partire dall'inno di Lotta
Continua
(http://www.lottacontinuaperilcomunismo.org/2009/11/testo-dellinno-di-lotta-continua.html),
in cui si invita il popolo ad armarsi e si suggerisce di eliminare
fisicamente i “padroni”, per arrivare ai testi estremamente
chiari e inequivocabili di Potere Operaio —
non Le dispiacerà, Sindaco, se ne riproponiamo qualcuno: la memoria
storica è non soltanto importante, ma addirittura fondativa per
qualsiasi istituzione democratica. Così si poteva leggere, dunque,
sul periodico “Potere Operaio”:
-
«Nelle
città, bisogna prendersi le case, i trasporti, le cose che servono
per vivere; bisogna prendersi
la libertà di lavorare di meno [...] bisogna organizzarsi per non
pagare più niente»
(“Potere Operaio del lunedì”, 1971, a. 0, supplemento a. III, n.
42, p. 4);
-
«Nella fabbrica aperta e che ancora lotta, come nella fabbrica in
cassa integrazione, nei paesi del Sud come nelle città del Nord, nei
quartieri e nelle scuole, vogliamo dimostrare che l'unica soluzione è
la violenza aperta, e dimostrare che la violenza paga.»
(“Potere Operaio del lunedì”, 1971, n. 0, supplemento n. 42, a.
III, p. 1);
-
«Forza di massa, forza militare. Forza di massa del movimento, forza
militare dell'organizzazione di partito. Non c'è dubbio: le regole
della guerra di classe sono esplicite, e guai a chi non ne prende
atto. Esitazioni, ritardi, sacche di legalitarismo e di pacifismo non
hanno più ragione di esistere. […] Non è vero che la violenza va
bene solo quando è di massa, cioè a dire materialmente esercitata
con azioni e comportamenti che implicano una partecipazione diretta
di massa. La violenza del partito, la violenza di cui oggi la classe
degli operai e dei proletari ha bisogno, è una violenza preordinata,
comandata, specifica, il cui carattere di massa sta nella capacità
di esprimere e di dare una risposta a un bisogno reale. [...] Oggi lo
scontro fra le classi è arrivato a un punto, che il compito di
disorganizzare politicamente e militarmente lo stato borghese è un
compito all'ordine del giorno.»
(“Potere Operaio”, a. III, 1971, n. 44, p. 12);
-
«Così le bottiglie molotov, gli scontri di piazza, il pestaggio dei
capetti e dei ruffiani, la distruzione delle sedi fasciste hanno per
noi il significato di un sintomo: e cioè la riappropriazione da
parte dei proletari degli operai e degli studenti del loro diritto a
combattere il nemico su tutti i terreni - e quindi anche sul terreno
politico militare.»
(“Potere Operaio del lunedì”, a. II, 1973, n. 40, p. 2).
Se
ne deve allora dedurre che Lotta Continua, Potere Operaio, Democrazia
Proletaria, Movimento Studentesco e Prima Linea fossero
organizzazioni fasciste? O che fossero fascisti lo Stato e gli organi
giudiziari, come in quegli anni formidabili sostenevano Marco
Pannella e tanti altri? Magari, a proposito di questo Stato
“fascista”, potremmo passare qualche serata insieme a rileggere
le annate dei giornali antagonisti del trentennio ’60-’90 del
secolo scorso. Do you remember? Diciamo allora che questo
“metodi propri” — anche alla luce della storia e di quanto
avvenuto storicamente prima, durante e dopo il fascismo — fu una
surreale concessione alla situazione dei tempi.
Allora,
sindaco, smarchiamoci da questa perniciosa falsa questione per cui la
Sua parte avrebbe in odio i fascisti perché sarebbero fuori dalla
Costituzione mentre Lei e i Suoi ne sareste gli strenui difensori. A
me personalmente, e lo dico da fascista, questa Costituzione sta bene
così com’è, consapevole del fatto che saranno sempre i
“progressisti” a disattenderla per primi, offrendo poi ai
“reazionari” l’opportunità di strafare nello strapazzarla.
Pensi che se io dovessi scegliere un articolo di cui farmi estremo
difensore fino al punto di immolarmi per esso, sceglierei l’articolo
11. Quello che inizia così: «L’Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali». Sì, sì,
signor sindaco, proprio quello di cui Massimo D’Alema ha fatto
strame per la sporca guerra in Serbia. Se lo ricorda? E, grazie a
quel precedente, come si poteva poi impedire che il nostro esercito,
comandato da un governo reazionario, dilagasse nel mondo fino in
Afghanistan al servizio della grande democrazia americana che,
poveretta, da quando esiste non ha mancato un giorno all’appuntamento
con la guerra? Guerra, sia chiaro, per il Bene contro il Male, per la
Democrazia contro la Tirannide. E così di guerra in guerra, con la
Vostra santa benedizione e dimenticando velocemente i predicozzi
sparati alzo zero al tempo dell'invasione armata dell’Occidente in
Iraq, siamo finiti a fare la guerra aerea anche contro la Libia. Sì,
quella nazione lì che quando ci andarono i fascisti era solo per
soddisfare mire colonizzatrici di guerrafondai, ma che ora è uno dei
regni del male perché un cammelliere egocentrico che sì, è venuto
da noi a farsi baciare l’anello, ma ha anche portato un sacco di
soldi e contratti con opportunità di investimenti fuori controllo
dagli americani, dagli inglesi e dai francesi — questo cammelliere,
dicevo, ha proceduto un po’ energicamente a reprimere i rivoltosi
per altro debitamente stimolati dai nostri cugini d’oltralpe. Sì,
insomma, l’ha fatto usando il metodo Sabra e Shatila o quello
birmano contro i Karen (sa niente di questi? Già, non hanno
petrolio, non sono comunisti, e in pratica non sono nelle grazie di
nessuno). Giro per la città e mi accorgo che dalle finestre sono
sparite anche le ultime sgualcite bandiere arcobaleno… chissà dove
sono finite. Forse a fare da sudario all’articolo 11 della
costituzione. Ma vuoi mettere la XII norma transitoria! Eh no, per
Diana! L’articolo 11 che ci procura caduti al fronte e miliardi di
euro a babbo morto si può anche spernacchiare grazie al contributo
dei “progressisti”, ma la XII norma transitoria no. Chi la tocca
muore! Come dimostra la disavventura occorsa a quei cinque
parlamentari che a febbraio ne hanno proposto l’abrogazione.
Ovviamente, come al solito, è stata gara a mostrarsi indignatissimi.
Alla fine credo che il primo premio vada assegnato all'onorevole
Schifani, che da presidente del Senato, invece di difendere la
libertà dei senatori, si è lasciato andare a una reprimenda
surreale.
Ma
già che ci siamo, restiamo un attimo sulla questione Libia. Perché
qui Voi di “sinistra” dimostrate tutta la Vostra labilità nei
confronti dei princìpi e dei valori nazionali. Per come è stata
prefigurata la situazione, mi dice Lei che differenza passa tra
l'Iraq di Saddam e la Libia di Gheddafi? Certo, da un punto di vista
di concezione dello Stato, di costruzione del meccanismo nazionale di
differenze ce ne sono. Ma l'Occidente ci ha detto che Saddam andava
abbattuto perché possedeva armi di distruzione di massa (e non era
vero), era antidemocratico e reprimeva le minoranze, come i curdi e
gli sciiti. L'abbattimento di Gheddafi invece neppure è stato
apertamente prefigurato. Si è voluto un intervento occidentale –
si è urlato — per difendere dalla repressione alcune tribù
rivoltose blandite da francesi e inglesi (e dal democratico Obama)
per evidenti interessi sul petrolio. Voi di sinistra, a partire dai
raffinati intellettuali e venendo in giù verso i politici passando
per gli operatori di media, plaudite all'intervento. Il perché
appare evidente. E la ragione è da voltastomaco. Saddam non era
amico del governo Berlusconi. Andato al governo, Berlusconi era già
schierato contro l'Iraq e quindi, per una questione di simmetria
ideologica, Voi dovevate stare contro quell'intervento che pure
entrava nella stessa logica dell'aggressione alla Serbia voluta da
D'Alema. Parteggiando contro Gheddafi voi avete in testa non la
fibrillazione democratica delle masse arabe (ma che ne è stato della
democrazia in Egitto e in Tunisia?) bensì la disarticolazione del
sistema berlusconiano. È, questa, una tradizione per cui ben pochi
di Voi, all'indomani della seconda guerra mondiale, sono riusciti —
per esempio — a pensare ad un comunismo nazionale piuttosto che ad
un comunismo assoggettato agli interessi moscoviti del tempo. E
questa dinamica per cui, alla fine, Voi piegate l'interesse nazionale
(o regionale, o comunale) e quindi del popolo — che ha per patria
la nazione Italia — alla visione ideologica che Vi anima è ciò
che fa di Voi un elemento nefasto rispetto ai valori e alla ricchezza
del patrimonio nazionale accumulati nell'arco dei secoli grazie al
sacrificio dei nostri padri e dei padri dei nostri padri. È, questa,
una cosa sulla quale poi tornerò. Se non proprio in questa lettera,
in un'altra.
Guardi,
signor Sindaco, so benissimo che tutto quanto sopra scritto — se
mai avrà modo di leggerlo — Lei, molto probabilmente, lo assumerà
con sufficienza, ci farà dell’ironia o ne trarrà motivo per
atteggiarsi a classico antifascista indignato. In fondo il meccanismo
è sempre quello: indignazione al massimo livello, sdegno ed
esecrazione per il solo fatto che esista un simile pensiero e
argomentare (il mio). Con i fascisti stragisti, razzisti,
guerrafondai, propagatori di violenza (sono davvero tali? Se non lo
sono, devono esserlo) non si parla. Manco li si ascolta. Così,
populisticamente, si evita di entrare nel merito delle
argomentazioni, e soprattutto di affrontarle. Ma è anche vero che
esiste una remota possibilità per cui veramente Lei sia, nei fatti,
anche il mio sindaco e quindi mi ascolti, riconosca le mie
ragioni fondate benché forse non condivisibili, ed entri nel merito.
Quando Lei ha dichiarato di voler essere il sindaco di tutti, ha
implicitamente sostenuto di avere a cuore le sorti di tutti i
cittadini. Anche la mia, dunque. E, come detto, La prendo sul serio e
per questo ricambio a mia volta prendendo a cuore le sorti del mio
sindaco, tentando di illuminarlo senza per questo pretendere
gratitudine e riconoscimenti.
Vede,
signor Sindaco, io sono assolutamente convinto che l’impegno
antifascista che Voi mettete in campo non c’entri assolutamente
niente con la difesa della Costituzione. Che tutto quello
sopra esposto è solo un bell’esercizio dialettico, pieno di
retorica ma vuoto di anima. Roma è universalmente grande non per
essere stata la culla del cristianesimo, come molti sostengono, ma
per aver donato al mondo il Diritto Romano, vera radice d’Europa —
se proprio vogliamo trovare un minimo comune denominatore. Tanto più
che in molte parti il cristianesimo è stato imposto, mentre
il Diritto è stato cercato. Ma del diritto noi, che ne siamo
la Patria, facciamo scempio quotidiano. Le nostre leggi sono piegate,
sempre, alla necessità della logica di potere. E quindi il fascista
nella sua città e nella sua nazione è all’indice e proscritto non
per dovere di legge, ma perché il diritto è stato assassinato. E
l’antifascismo diventa un collante per soggetti eterogenei.
Girare
attorno alla Costituzione e alla legge quindi non serve. Serve capire
il vero motivo di tanta aggressività, prepotenza e rancore verso “il
fascista”, perché tale si proclama o perché come tale viene
catalogato. E di motivi ce n’è più d’uno. Tra questi ora Le
parlo del più odioso. Ma è necessaria una sostanziosa premessa.
Va
riconosciuto, signor Sindaco, che a “sinistra” (come per
“destra”, continuiamo ad utilizzare queste categorie politiche
solo per comodità di comprensione) è da sempre in uso una fruttuosa
prassi. Fruttuosa e saggia. In pratica, esiste da Voi una sorta di
ascensore che costantemente mantiene in collegamento i reparti
“istituzionali” e parlamentari con i bacini collettori di base
sganciati dai partiti. Parlo delle cooperative e più ancora dei
centri sociali. La funzione dei centri sociali metropolitani
caratterizzati dai valori “di sinistra” è strategicamente
essenziale per il rinvigorimento di tutta la Vostra area. Un giovane
è per natura esuberante, cerca centri di aggregazione ove poter
fruire di tutte le forme di socialità che gli sono necessarie. Se il
giovane che frequenta un centro sociale è portato alla devianza,
probabilmente finirà con l’andare ad alimentare quegli strati di
nichilismo passivo abbondantemente diffusi nella nostra società, e
che costituiscono sacche rigonfie di adolescenti emarginati ovvero
giovani refrattari all’attuale modello di sviluppo. Questo per dire
che i centri sociali non hanno l’esclusiva della devianza
giovanile, e non è vero che la producono — semmai l’accolgono,
la organizzano e spesso la cavalcano. Se però la tendenza del
giovane che entra in un centro sociale è di tipo artistico, è
facile che egli vi trovi le condizioni ideali per crescere e farsi le
ossa, favorito dall’immaginario giovanile, dalle tendenze e mode in
atto che spesso pulsano proprio nei centri sociali. Può quindi
capitare di veder crescere un regista, un musicista, un letterato. Ci
sono poi giovani la cui vocazione è di tipo politico: li vedremo
crescere facendosi le ossa nella sperimentazione “sulla strada”
per approdare infine ai reparti istituzionali. Mi pare che Lei in
giunta abbia un paio di elementi che provengono giustappunto da quel
mondo. E molti altri saranno presenti nell’apparato burocratico che
fa da base al Suo governo cittadino. Ciò a dire che il livello
“istituzionale” e quello “partitico” si avvantaggiano
succhiando giovanile forza vitale dai centri sociali, che alla fine
svolgono appunto la funzione di bacini collettori.
A
“destra” tutto questo non esiste. E se ne fanno un vanto. I vari
livelli della piramide sono quasi a compartimenti stagni, e si sale o
si scende per cooptazione. Il caso di una igienista dentale in
Regione Lombardia è semplicemente emblematico. Il più eclatante —
ma in qualche modo la norma. E questa è una delle ragioni per cui
quello schieramento non ha seguito nel mondo giovanile, non lo
aggrega né riesce a collegarsi con i nascenti nuovi fermenti che
magari, all’origine, potrebbero persino essere per natura di sua
pertinenza.
Ma
i giovani non attratti dai linguaggi fatti propri dalla “sinistra”
— e quindi dei centri sociali — non hanno la possibilità di
accedere a “bacini collettori di destra”: perché non esistono. E
non esistono perché, checché se ne dica, i centri sociali non sono
un fatto autonomo e indipendente ma abbisognano di un minimo di
compiacenza “istituzionale”. Altrimenti non ci sono santi che
tengano: vengono chiusi d'autorità. La destra istituzionale è
essenzialmente reazionaria e conservatrice, e non può neppure per
gioco ipotizzare una qualche forma di compiacenza con “centri
sociali di destra”. Ma non tutti, nascendo, sono destinati alla
“sinistra”. Ci sono giovani esuberanti dotati di creatività
radicale che spesso trovano negli echi della cultura fascista a Voi
sconosciuta e/o da Voi volutamente ignorata le idee ispiratrici per
aggregazioni al passo con i tempi, per associarsi al fine di
alimentare un impegno anche sociale. Detto questo, è facile
immaginare le obbiezioni della Vostra parte. Perché quando il Suo
schieramento parla di fascismo lo spurga di tutti i fermenti di
avanguardia artistica, sociale e culturale che gli erano propri. Ma
se tenete presente che persino il futurismo si è espresso nel
fascismo, come pure il fiumanesimo dannunziano con annessi e
connessi; che le fondamenta dello stato sociale ancora oggi
sopravvissuto allo smantellamento neoliberista furono gettate in
epoca fascista; e che appunto a questo si richiamano i giovani
nell’elaborare il loro nuovo linguaggio — se tenete presente
tutto questo, allora forse comincerete a capire perché vi sia un
esplicito richiamo al fascismo.
Le
vostre obiezioni? Ma il fascismo usò la violenza per mezzo della
polizia, perseguitò gli oppositori, mise in campo le leggi razziali,
fece la guerra.
Va
bene. Ma non è da tutto questo che la gran parte dei giovani sono
affascinati. Quello che richiamano è la dottrina. Perché altrimenti
ogni volta che si parla di idea comunista bisognerebbe tirare in
ballo lo stalinismo, Pol-Pot e Menghistu; ogni volta che si parla di
cristianesimo si dovrebbe far carico a chi si professa cristiano
delle guerre crociate, delle atrocità perpetrate dalla Santa
Inquisizione, dei massacri coloniali ispirati da missionari invasati
con truppe al seguito, o del commercio di schiavi non di rado
benedetto da preti e frati...
Lei
pensa che nelle questure francesi e inglesi degli anni ’30 ci
fosse, nei confronti degli arrestati, meno efferatezza di quanta ce
n’era in Italia? Che i detenuti della Cayenne stessero meglio di
quelli ospitati all'Asinara o a Porto Azzurro? Che si debba definire
la dottrina democratica statunitense passando per le bombe atomiche
sganciate sul Giappone o per le prigioni di Guantanamo e Abu Ghraib?
Lei pensa che si debba valutare l’orgoglio dell'odierno giovane
inglese conservatore attraverso quello che erano l’amministrazione
e l’assetto coloniale ancora in vigore nella prima metà del secolo
scorso? Non credo. E allora perché discriminare e applicare ai
fascisti quel che non si applica a nessuno?
La
questione, dunque, è molto semplice. I giovani che oggi non
rinnegano l’essenza della dottrina sociale fascista e si
propongono con progettualità efficace danno molto fastidio a
sinistra e a destra, perché veri competitori e veri portatori di
modelli di sviluppo alternativi. L’antifascismo, la costituzione,
il giudizio storico sul regime fascista diventano tutti alibi per
penalizzare effervescenze giovanili veramente alternative.
Alternative a quelle proprie del Suo schieramento e allo schieramento
da Lei sconfitto sul piano elettorale. Con mia soddisfazione, oltre
tutto. Perché ormai Milano era intrappolata in una ragnatela
reazionaria, soffocata da una cappa grigia senza alcuno sprazzo di
vitalismo e capacità di risposta sensata alle problematiche di nuova
proposizione.
Questo
per dire e chiarire che chi si sente veramente fascista, nel senso
accettato da quelli come me, non nutre alcun sentimento di comunanza
o vaga omogeneità con il cosiddetto “centrodestra”.
Certo,
può capitare di avere un sincero rapporto di reciproca stima, e
magari di ottenere pure un minimo di sponda con alcuni loro
esponenti. Ma il tutto è giocato su base personale, e non per
coincidenza “ideologica” come spesso alcuni di Voi insinuano.
Il
Consiglio comunale non aveva ancora emesso il primo vagito che già
una consigliera sostenitrice della Sua maggioranza e riconducibile al
Suo schieramento dichiarava di presentare interpellanza per capire
perché e come una certa associazione fascista avesse ottenuto una
piccola sponsorizzazione dalla Regione Lombardia. Sponsorizzazione
per un convegno sulla solidarietà, i cui relatori erano persone
giustappunto impegnate da anni nel solidale. Questa cosa è
perniciosa, fastidiosa e frutto di rancorosa ignoranza. Se Lei fosse
veramente il sindaco di tutti, avrebbe dovuto subito richiamare la
Sua consigliera. E chiedere: “Hanno perpetrato violenza? Hanno
propugnato discriminazione? Hanno espresso la volontà di abbattere
la democrazia? Hanno recato danno alla città?”. E ottenuta una
risposta inevitabilmente negativa, con annessa conferma che tutto si
è svolto nel pieno rispetto dei dettami democratici, avrebbe dovuto,
da sindaco di tutti i cittadini, prendere le difese degli
organizzatori il convegno.
Guardi,
nessun fascista avrà mai nulla da ridire se il Comune da Lei guidato
verserà contributi ad associazioni oggettivamente marginali e
ideologicamente fortemente caratterizzate a sinistra. Allo stesso
modo nessun fascista si attende anche un solo euro di
sponsorizzazione a iniziative che dovesse mai mettere in cantiere. E
tutto questo ci sta. Quello che non ci sta è la continua e costante
persecuzione di ogni iniziativa di queste associazioni definite o
autodefinitesi fasciste.
Perché
poi è facile sostenere di essere per la libertà di pensiero. Come
si fa, del resto, a limitare il pensiero di un individuo? Non si può:
e quindi tanto vale essere concettualmente generosi. Ma si può
impedire che il pensiero venga espresso, ed è quello che
giustappunto la Sua parte fa sostenendo di voler così salvaguardare
la libertà di pensiero del popolo dai fascisti che tale libertà
vorrebbero reprimere. Tutti possono esprimersi, tranne i fascisti —
e quelli che vengono ritenuti tali — perché se si esprimessero
vieterebbero agli altri di esprimersi, dice la Sua parte. In realtà
i motivi principali di tanto antifascismo sono almeno due.
Il
primo: c'è la percezione della forza di un pensiero e di un modello
di sviluppo affascinanti e alternativi tanto a quello di sinistra
quanto a quello di destra. C'è il timore che si generi consenso. Ne
avete (Lei e la Sua parte) paura forse perché il Vostro pensiero va
alla storia, quando il Regime fascista ottenne un consenso quasi
unanime. E non vi rendete conto che questa è tutt’altra dimensione
spazio-temporale, e che anche antropologicamente siamo in presenza di
tutt'altra cosa.
Il
secondo: avete un’idea preconcetta e falsa del fascista. Voi che
continuate a urlare l’avversione ai preconcetti siete
l'incarnazione del preconcetto, Vostro inalienabile patrimonio
privandovi del quale pare perdiate identità. Prima di tutto e avanti
a tutto siete ANTIfascisti. Poi, solo poi, siete PER qualcosa.
Infatti, chi di voi ha mai verificato? Si è confrontato? Quando mai
avete tentato di essere “dentro” il concetto? Perché se un
fascista fa un convegno sulla solidarietà, sul diritto alla casa,
sul ruolo della donna come madre, sullo strapotere delle banche,
sulla scuola voi lo criminalizzate? A prescindere. Tutti possono fare
un convegno, una conferenza, un incontro, una presentazione
editoriale, su un qualsiasi tema, tranne i fascisti.
Io
sono certo che se un individuo davanti a Voi si dichiarasse matto,
Voi attraverso un’associazione o una qualche commissione di
psichiatri Vi dareste da fare per VERIFICARE a) se quell’individuo
è veramente matto; b) se il suo concetto di “matto” collima con
il Vostro. Perché dunque se uno si dichiara fascista voi non
VERIFICATE se quell'individuo, dicendosi tale, intende la stessa cosa
che intendete Voi? Io Vi sfido a trovare un solo individuo che,
dichiarandosi fascista, si riconosca nella Vostra descrizione. Non
esiste. E lo sapete bene. E Vi fa comodo far finta di niente.
Ma
torno a Lei, signor Sindaco.
Vede,
signor Sindaco, da ogni regno ideale, da ogni dottrina, religiosa o
politica che sia, non solo germogliano eresie ma anche marginalità
e devianze. Pensi di cosa sono state capaci alcune sette
antiabortiste statunitensi che si richiamano alla Bibbia. Lei valuta
e giudica il cristianesimo in base all'azione di quelle sette? Non
credo. Perché allora è prassi giudicare il complesso del
“neo-fascismo” ponendo al centro le espressioni di certa
marginalità?
Si
dice che il fascismo fu incultura. Guardi, a partire da Pirandello e
Gentile scendendo in giù potrei elencare centinaia di intellettuali
e artisti che furono fascistissimi. Tant'è che se ne è accorta
anche una ricercatrice antifascista come Alessandra Tarquini (Storia
della cultura fascista, Il Mulino: un testo uscito proprio ora
mentre Le sto scrivendo). Per contrastare il luogo comune
dell'equazione “fascismo = incultura” serve dire che la Tarquini
non è la sola? Che altri antifascisti, a partire da De Felice, hanno
dovuto ammettere che l'incultura non ha casa nel fascismo del
Ventennio? Del resto, se Lei gira per la città di cui è diventato
sindaco si renderà ben conto, per esempio, di quanta cultura trasudi
dalla sola “architettura sociale”: la stazione centrale, il
palazzo di giustizia, la casa dello studente... Inutile fare
l'elenco. E sa qual è il bello della situazione di allora per la
cultura e persino per la progettualità politica? Che al suo interno
il fascismo regime aveva un dinamismo plurale che l'Italia non ha mai
più conosciuto. Oggi il pluralismo culturale è stato posto
all'esterno, fuori della trama del potere e verso il basso.
Determinando, attraverso l'illusione di una falsa libertà, la
sterilizzazione degli input di avanguardia. Nel fascismo
mussoliniano, invece, era dentro il sistema e contribuiva a fare
sinergia. Per cui all'interno della cultura fascista potevano
coabitare ed esprimersi intellettuali che andavano dall'anarchico
fascista Berto Ricci fino all'aristocratico Julius Evola, con nel
mezzo una varietà di espressioni culturali e progettuali che
l'Italia post-fascista non ha mai conosciuto.
Questo
pluralismo di linee culturali e politiche — insieme alle eresie,
alle marginalità e anche alle devianze — è tutto presente in quel
bacino che la Sua parte chiama “neo-fascismo” (nuovo fascismo).
Che è sì nuovo in quanto si discosta dalle forme politiche del
regime fascista: ma, e neppure paradossalmente, è più antico.
L'anima “neo-fascista” è antica, fa proprie idee, valori e
principi originari che sono fondanti della nostra Nazione e dell'idea
di Stato. Ed è proprio attraverso queste idee, questi valori
applicati armoniosamente nelle diverse epoche che è stata forgiata
la meglio Italia, a partire dalla civiltà romana a venire in qua. E
ha quindi generato il fascismo mussoliniano che ha governato l'Italia
per oltre un ventennio nel bel mezzo dei 150 anni di unità
nazionale.
Lei
e i Suoi fate confusione. Eppure avete tutti, o quasi, celebrato il
centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia. Ebbene, dentro
questi 150 anni ci sta tutto il fascismo che il mondo intero ha
ammirato e riverito... almeno fino al 1940. Il fascismo mussoliniano
è un figlio d'Italia abbattuto militarmente. Politicamente sono
implosi i socialismi reali, e oggi ad implodere a catena sono i
sistemi demoliberali. Il Fascismo no. Per il fascismo mussoliniano ci
sono voluti i bombardieri angloamericani, gli sbarchi in Sicilia e ad
Anzio. E solo una mente malata poteva riferirsi a quel fascismo come
al “male assoluto”. Non è così. Ma questa è una diatriba
storica dalla quale, politicamente, possiamo tranquillamente
prescindere. Vi ho fatto riferimento per una ragione ben precisa. Io
non voglio fare come certi che glissano sul passato. Io rivendico il
diritto di avere un'opinione diametralmente opposta alla Sua per quel
che riguarda la nostra storia, e giudicare positivamente quel che
magari Lei giudica negativamente. E mi impongo affinché questa
diversità di giudizio non costituisca discrimine sulla progettualità
politica, allo stesso modo in cui non lo costituisce il credere o non
credere alla verginità della Madonna. Quindi, signor Sindaco, per
quel che mi riguarda Lei deve prendere atto che io considero il
regime fascista una cosa grandiosa, che da fascista del Nuovo
Millennio non ho alcuna nostalgia né volontà di restaurazione e che
la mia progettualità non è carica di tutte le nefandezze che la Sua
parte va elencando.
Le
dirò di più, e le dò qualche elemento utile a smontare i Suoi
preconcetti.
- Non ho niente contro l'Islam e sono favorevole alla edificazione in Milano di moschee e centri culturali musulmani;
- Non sono ostile agli omosessuali. Sono, concettualmente, ferocemente ostile alle oscenità tipo gay pride;
- Non sono anticomunista: sono eventualmente antimarxista che è altra cosa;
- Non sono favorevole alla assimilazione degli immigrati ma sono per una sana e rispettosa integrazione;
- Sono per l'edilizia popolare e per il diritto alla casa;
- Sono contrario alle privatizzazioni. Quando uno Stato funziona bene anche le imprese che dipendono da lui funzionano bene;
- Sono per la tutela di tutte le minoranze;
- Sono per la massima limitazione delle auto private nel centro cittadino;
- Sono per lo sviluppo delle forme di produzione energetica alternativa;
- Sono un radicale dell'ambientalismo e quindi della salvaguardia del paesaggio e della natura;
- Sono per la tutela degli animali, ferocemente contrario alla vivisezione, e per la severa punibilità di quanti maltrattano gli animali.Ma sono anche per lo Stato organico, per la gerarchia funzionale, per la salvaguardia delle specificità e tradizioni nazionali e dell'intero patrimonio culturale italiano — che è in massima parte di natura pre-democratica se non antidemocratica essendo il modello democratico in vigore solo da qualche decennio. E a onor del vero il meglio l'abbiamo espresso prima.
Detto tutto
questo, la domanda è: ma Lei sarà anche il mio sindaco?
Sì,
è vero, io non l'ho votata. Non solo perché pur essendo figlio di
genitori milanesi abito nell'hinterland e quindi alla fine il mio
sindaco è un altro. Ma anche volendolo, non avrei potuto votarLa.
Avevo poco più di 18 anni, ero in carcere, e un altro sindaco di
Milano — Aniasi —, in prossimità di non so più quale elezione,
mi fece avere una lettera che mi sospendeva dalle liste elettorali
per indegnità. Poi ci ha pensato la Corte d'Assise a darmi
l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e quindi a togliermi il
diritto al voto. A quel tempo, tra l'altro, colui che oggi è tra i
Suoi maggiori sponsor, Piero Bassetti, era presidente della Regione
Lombardia che finanziò e produsse un ignobile documento sulla
supposta “Violenza fascista in Lombardia”, prodromo al famigerato
opuscolo “Pagherete tutto, pagherete caro” di “Lotta continua”,
vero e proprio promotore di nefandezze ai danni della gioventù
lombarda non schiacciata sugli ideologismi della Sua ultrasinistra.
Teoricamente,
se richiedessi la revoca del provvedimento con cui mi si interdice
dai pubblici uffici avrei sicuramente soddisfazione. Ma non capisco
perché dovrei piatire un simile “diritto”, tanto più che è in
corso di discussione (e la Sua parte se ne è fatta paladina) il
diritto al voto agli immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza. Io
la cittadinanza ce l'ho. Abito una terra che i miei avi hanno
coltivato con la zappa e difeso con il pugnale tra i denti, ne sono
cittadino ma non posso votare neanche volendo. Potranno farlo, e
decidere in una certa misura, quelli che arrivano oggi e godranno
delle ricchezze messe a nostra disposizione dai padri. Non crede,
dunque, che sia il caso di adoperarsi, oltre che per il diritto di
voto dei cittadini immigrati, anche per la possibilità di voto di
quegli uomini che, come Lei, negli anni '70 decisero di mettersi in
gioco? Il Destino ha decretato chi poi dovesse essere preso dentro il
vortice giudiziario e carcerario: e spesso chi non c'è finito lo
deve solo alla pura casualità. Credo che Lei potrebbe essere tra
quelli baciati dalla dea Fortuna. Del resto la cosa ha poca
importanza.
Ma
se anche non sono proprio cittadino di Milano e non sono iscritto
nelle liste elettorali, Lei pensa di poter essere il sindaco di
quanti mi sono simili e si sentono fascisti per ragioni
diametralmente opposte a quelle per cui Lei ideologicamente li
condanna?
Che
Lei risponda oppure no, sappia che io sarò costantemente impegnato
per il benessere della mia Milano, e farò di tutto affinché non ci
sia discriminazione per la mia parte. Soprattutto sarò impegnato
affinché non ci sia depauperamento del patrimonio che anch'io ho
ereditato da quelli che ci hanno preceduto. E Le dico che oggi mi fa
piacere vedere quanto la Sua parte si sia affezionata al Tricolore.
Ricordo cosa significava per me lo sventolarlo, quarant'anni fa. E
ricordo bene quanto fosse inimmaginabile vederne uno
nell'affascinante mare di rosse bandiere.
Mi
piace chiudere questa lettera ricordando come la storia sia volubile.
Negli anni '20 del secolo scorso, in Europa ci si attendeva l'avvento
del Bolscevismo. Negli anni '30, invece, l'Europa fu “nazifascista”
(che brutto termine!). Nel 1938, non penso che fossero in molti a
pensare che di lì a qualche anno avremmo avuto l'Europa di Yalta,
che ancora negli anni '70 sembrava una situazione irreversibile. Come
sono andate le cose, lo sappiamo. Volando più basso, tutti si
aspettavano l'exploit della Lega alle ultime elezioni cittadine, e la
tenuta del PDL. Invece ha vinto Lei. E mi ha fatto venire in mente il
D'Annunzio agli albori del secolo scorso, quando lasciò la destra
per andare ad occupare i banchi della sinistra: «Vado verso la
vita!». E aveva ragione. Ma poi, quando la Nazione va in crisi,
allora sono altre le postazioni da cui è possibile rivitalizzarla e
difenderla. E D'Annunzio andò a Fiume!
Tenga
presente questi aspetti della nostra storia. E tenga presente che non
è più accettabile il giochino per cui la “sinistra” tende a
mettere fuori gioco il pensiero e la progettualità antagonista che
sta oltre la sinistra chiamando in campo l'antifascismo. Tanto più
ora che, almeno qui a Milano, avete la mezzadria del Potere. Fatevene
una ragione e accettate l'antagonismo, rispondendo nel merito delle
idee senza evocare fantasmi e l'inquinato immaginario collettivo.
Il
cittadino milanese Maurizio Murelli
11 commenti:
Ottimo lavoro. Non è importante che serva a qualcosa, è importante averlo fatto ;-)
Come avrebbe detto il Barone: "Abbiamo fatto ciò che andava fatto". Ora vediamo quanti "fascisti" milanesi non sono andati al mare...
Maurizio
Bella lettera: condivido tutto.
C'è un po' troppa animosità, del tutto giustificata peraltro.
Io ho abbandonato la sinistra da un decennio per gli stessi motivi qui descritti... però c'è anche molto appello - fondato - ad un Novecento che la sinistra ha voluto chiudere malamente e che è emotivamente disattivato per loro. Non hanno fatto una piega - nessuno di loro! - a divenire una disossata formazione radical-socialista da Terza Repubblica francese, partito organico del capitale finanziario ancor prima che industriale, figuriamoci!
La sinistra ha accettato la propria morte con la totale inconsapevolezza con cui parlano di costituzione, antifascismo, diritti, gay, ecc. Ultimo spettro della società dello spettacolo, la sinistra sta alla realtà fantasmatica che viviamo come un animatore ad una festa di compleanno in collina: è giusto offrirle alcune tartine, pagarle il dovuto e metterla in libertà, come si diceva nelle case borghesi di una volta.
Non si può nemmeno dialogare sulla loro storia con quelli di sinistra; sono dei cadaveri ambulanti che stanno rendendo l'ultimo servizio al capitale come animatori nel "sociale". Punto.
Il problema non è tanto la "sinistra" intesa come ideologia o progetto sociopolitico. Il problema grosso è che la sinistra prima di suicidarsi ha procreato, copulando con il demoliberali, un mostro chiamato "antifascismo", una cosa che non ha alcuna attinenza con il fascismo e neppure con l'antifascismo degli anni '40 del secolo scorso. L'antifascismo è un sistema di autonoversazione del sistema liberalcomunista. Agisce da anticopro nei confronti delle nuove effervescenze giovanile, della nuova progettaulità. Basta lanciare l'anatema e una nuova espressione ideale, specialmente se fatta di giovani viene neutralizzata.
Amadeo Bordiga disse che l'antifascismo sarebbe stato il peggior prodotto del fascismo: evidentemente c'è n'erano di migliori.
E' una vecchia storia, Maurizio: il mostro chiamato antifascismo è coevo alla "Liberazione". Ricordo perfettamente che il Pci ne fece una ragione sociale superiore a qualsiasi altra fin dagli anni Cinquanta: non è certo nato con l'odierno suicidio assistito della sinistra. Il problema è che da questa pseudo ragione sociale, ridicola e "in negativo", non poteva nascere nulla e, perdendo - la sinistra - qualsiasi altra identità, è rimasta solo questa lotta immaginaria contro un fantasma ridicolo. Tutto deriva dall'interpretazione togliattiana del fascismo come regime reazionario di massa e come feroce reazione del capitale all'insorgenza rivoluzionaria socialista e comunista. In fondo, ponendo per buona questa interpretazione della metà degli anni Trenta, al meglio potrebbero essere collocati come custodi di un cimitero di ricordi: ma loro, poveretti, ritengono ancora che il capitale sia quello degli anni Trenta, sempre pronto a brandire la minaccia fascista... Credono nell'immutabilità delle forme, nel fascismo immortale e onnipotente, come nel socialismo immortale e redentore: è, nel migliore dei casi, puro teatro Kabuchi. Sono del tutto d'accordo con te: hanno sterilizzato il mondo giovanile ed è per questo che è stato affidato loro il ruolo di animatori del "sociale", con le scenette della Fiom, la femminista ex Psi lombardiana, amica dei gay e delle lesbiche a dirigere la Cgil, Santoro, Travaglio, i comici, ecc.
Io provengo dal quel mondo... lo conosco bene!
Molto convisibile quello che dici. Stare qui a fare la classifica di chi sta peggio tra "partiti", PCI, MSI e PSI pur nella loro nuova veste (PD, PDL...) o tra i sindacati è solo puro divertimento. Per chi ancora si sente mobilitato e impegnato per il mutamento del/nel sociale, l'unica cosa pssibile da fare è aggredire a testa bassa i mostri che stoppano nuove prgettualità per liberare veramente i giovani dai tic ideologici.
Come ti ho detto, io sono costretto a chiamare il mostro dei mostri antifascismo, una roba che non ha nulla a che vedere con il fascsimo comunque lo si intenda e quindi l'antifascismo bellico. Si tratta di una roba che serve solo alla repressione e alla messa fuori gioco del nuovo autentico. Io che prevalentemente sono per i "per" mi tocca fare l'anti: l'antiantifascismo. E alla fine è questo il seso della lettera. Le notizie che ho raccolto circa le schifezze già avviate dalla nuova giunta in molti casi sono coperte ancora una volta dall'antifascismo. Tra l'altro perpetrate con molta ipocrisia. Pisapia, per non essere preso in castagna dai benpensanti, come comune non elargirà sposorizzazioni ai centri sociali. Lo farà attraverso i consigli di zona. Perché vuole "la democrazia, la partecipazione il coinvolgimento della popolazione", dice lui. E nei consigli di zona stanno mattendo a punto - e in alcuni casi già approvato - regolamenti in base ai quali si possono ottenere finanziamenti per attività sociali e culturali solo se si è associazione antifascista. Testuale. Capisci? Chi poi distribuisce il patentino di antifascista? Spesso il peggio del peggio dei centri sociali entrati nelle istituzioni inermedie del sistema, come appunto i consigli di zona. Mica i nipoti di Primo Moroni. No, i figli degeneri di Farina, Rizzo e di quel Limonta che oggi si presenta in TV a fare la barte del bonzo pacifico.
Da non so quanti anni funzionano i centri di osservazione antifascista, che vengono definiti democratici (e ti pareva!) a cui aderiscono pure preti (come si fa ad essere teocratici e democratici allo stesso tempo, poi un giorno me lo spiegheranno). Ora sto valutando l'idea di mettere in piedi un "osservatorio sinistri" per rendere pubbliche le schifezze perpetrate in nome (o con la copertura) dell'antifascismo. Schifezze che qui a Milano nei prossimi anni passeranno attraverso concessioni all'antifascismo straccione dei centri sociali o dei rifondaroli. Obiettivo: disinnescare l'attenzione sull'Expo' per il quale la contrattazione sotto banco tra gli affaristi delle precedente giunta e l'attuale è cominciata. Insomma, l'antifascismo in questo caso verrà utilizzato come moneta per comprare l'opposizione critica all'Expo', disatmarla, neutralizzarla. Il metodo è riempire lo stomaco del cane da guardia con tutto l'antifascismo immaginabile possibile. E il cane a pancia piena non solo non morde più ma nemmeno abbaia.
Quindi ti prego di credere che la mia impennta anti antifascismo non ha niente di ideologico, non è una questione di appartenenza. Un po' come per il revisionismo, che ogni volta che lo fai ti dicono che è destinato non a fare le pulci a storici un po' biricchini e magari un po' mercenari (ottenere il favore del vincitore), ma per sostenere gli sconfitti e recuperarli al gradimento.
Ora, del revisionismo per andare avanti possiamo anche farne a meno, ma dell'aggressione alla fabbrica dei veleni impiegata per intossicare presente e futuro, se si è impegnati per la "politica", no. Qualsiasi sia la postazione occupata e il colre della camicia indossata.
Quindi, a parte altre iniziative, io ora cerco persone con le palle per un serio manifesto antiantifascista. Perché questa cosa che era prima un pretesto ideologico, ora è diventata un'arma per la conservazione e delegittimazione di tutto quanto sta oltre il disastro di certo pensiero politico e di certi modelli.
Così è tutto molto più chiaro.
Contento di esserti stato utile per rendere comprensibilissimo il nocciolo del problema.
Sempre in ferie la fascisteria milanese?
Secondo me c'è un errore macroscopico nel tuo ragionamento.
Per chiarirlo, ti faccio un esempio. Mi pare che anche tu, come me, sia molto critico nei confronti del cristianesimo (se mi sbagliassi, non ha importanza. Ammettiamolo ai fini del discorso).
Ora immagina che ci troviamo a discutere con un "cristiano" che ritiene inaccettabile la nostra profonda critica del cristianesimo sulla base dell'argomentazione che lui, personalmente (e magari alcune decine di suoi amici) condivide solo una frazione minuscola delle credenze e delle pratiche delle Chiese cristiane che tutti conosciamo (ritenendo magari perfino di essere lui, insieme agli amici menzionati, a rappresentare il "vero cristianesimo").
Credo che gli obietteremmo entrambi semplicemente che la nostra critica radicale si rivolge al cristianesimo "realmente esistente", per quello che rappresenta in generale come fenomeno sociale. Che la nostra critica si rivolge contro le pratiche e le credenze della stragrande maggioranza dei "cristiani", non quelle di eventuali piccoli gruppi variamente minoritari (che per qualche ragione, pur dicostandosi radicalmente - di fatto - dal cristianesimo mainstream, ritengono di dover continuare a usarne l'etichetta).
Bene, un discorso del tutto analogo vale, mutatis mutandis, per il "fascismo" oggi realmente esistente e maggioritario (con il suo razzismo, la sua intolleranza, la sua xenofobia plebea, l'odio cialtrone che diffonde nei confronti dei "diversi" di ogni genere, magari pure con le sue pretenziose e grottesche stupidaggini "nazionaliste" o "cattolicheggianti" etc.) e al conseguente "antifascismo".
Naturalmente l'antifascismo esiste e ha senso politico in quanto si oppone a questa facies assolutamente maggioritaria, visibile e rumorosa del "fascismo".
L'antifascismo non solo ha una sua dignità politica, ma è una forma di resistenza necessaria (e, se intendi sul serio le critiche che rivolgi tu stesso a gran parte di ciò che oggi passa per - e quindi è - "(neo-)fascismo", credo che dovrebbe esserlo perfino per te. E non è un paradosso).
Così come una critica radicale al modello ideologico prevalente del "cristianesimo", anche una critica radicale al modello ideologico prevalente del "fascimo" è una necessità per aprire maggiori spazi di libertà: nella mente delle persone e nelle loro relazioni sociali.
Quanto a singole posizioni minoritarie, credo che debbano essere valutate di volta in volta: per quello che propongono, per quello che di liberatorio, di propositivo possono albergare, o per constarne la impraticabilità. Ma questo, come è ovvio, è tutto un altro dicorso, che con la resistenza "anticristiana" o "antifascista" nel senso definito in precedenza ha ben poco a che vedere.
Giuseppe
Murelli....sono quarant'anni che fai finta di essere "al fronte", ma sepre due passi indietro....a distanza sufficiente per non beccarsi una pallottola. Solo fortuna? "Lucky Murelli"?? NO. E' che non contavi un cazzo allora come oggi. Neanche il prezzo di un proiettile. Perchè uccidere un fascista non era reato E non lo è, nemmeno oggi. Carlos.
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