lunedì 27 giugno 2011

Lettera al mio (?) Sindaco

Signor Sindaco,
Signor sindaco,

refrattario al politically correct che ha pervaso di sé anche lo stile relazionale tra persone, non mi rivolgo a Lei con il confidenziale e un po’ fricchettone “tu” che fa tanto “eguaglianza” e “democrazia”. Mantengo le distanze: così, oltre ad evitare di generare equivoci, evito di crearLe imbarazzo e disagio. Capirà subito il perché e forse, almeno per questo, me ne sarà grato.
Sia chiaro, scrivo questa lettera senza avere la pretesa/illusione che poi Lei la legga. Sicuramente ora, a prescindere dalle molte cose di cui dovrà occuparsi, avrà tante petizioni ed epistole da leggere recapitate a valanga dalla “sua gente” — i diseredati, i poveri, i disoccupati, i gay, i “giovani impegnati” di cui la Sua parte politica rivendica l’esclusivo copyright. Tutte categorie che hanno la massima priorità e nelle quali io non rientro. Per me Lei non avrà né tempo né predisposizione d’animo. La capisco e non la biasimo per questo. Ma io Le scrivo egualmente, “a futura memoria”, come si suol dire, e magari ad uso e consumo di qualche Suo compagno di strada.
Signor sindaco, la Sua prima dichiarazione appena eletto è stata: “Sarò il sindaco di tutti!”. Oso azzardare che sia stata la Sua prima bugia da primo cittadino perché Lei, ne sono certo, non vorrà essere e non sarà il mio sindaco. Nell’euforia della vittoria probabilmente si è dimenticato della mia (e di quella dei miei consimili) esistenza; oppure ha voluto essere, nella forma apparente, oltremodo politicamente corretto — assumendo un impegno che intimamente, se solo ora, a freddo, pone pensiero e mente, sa di non poter mantenere. Sono pronto a ricredermi, Signor sindaco, ma penso proprio che le cose stiano come Le vado dicendo. E sono certo che se qualcuno potesse domandarLe: “Ma Lei vuole veramente essere il sindaco di costui e dei suoi consimili?”, come minimo glisserebbe o si produrrebbe in un qualche artificio retorico pur di non rispondere nel merito. Molto più probabilmente, se ne uscirebbe con un'espressione indignatissima nella quale invocare in radice il male assoluto. Del resto, i più maliziosi mi dicono che molto semplicemente Lei considera quelli come me dei “non cittadini”, esseri fuori dal consesso civile: e per questo, quando parla di tutti, parla di esseri umani, di cittadini. Non di me e di quelli come me: che in un tempo non molto lontano, quando era già reato macellare le bestie fuori dal rispetto delle norme, era lecito uccidere. Con qualsiasi mezzo: “non è reato”, dicevano nel sodalizio del quale Lei faceva parte o cui era contiguo. E così la pensa(va)no alcuni degli eletti con Lei al nuovo consiglio comunale. E dico subito: cosa non pregiudizievole, questa, nel mio argomentare. Solo gente in malafede e ipocrita può attaccarsi alle Sue passioni e concezioni di 30 anni fa. Come se si volesse continuare ad imputare a Paolo di Tarso l'assassinio di Stefano prima della conversione invece di imputargli i crimini perpetrati da convertito. Insomma, sapere che Lei a suo tempo fosse convinto che “uccidere un fascista non è reato” a me non fa né caldo né freddo.
Vede, io qui ora potrei declinare la mia identità politico-culturale, dimostrare quanto essa sia agganciata a specificità e radici antiche, certo, ma anche immersa nel presente e capace di tener conto di tutte le complessità della modernità e quindi in grado di rapportarsi efficacemente agli attuali modelli economici e politici, alle sensibilità e problematicità sociali, nonché ai quesiti che, non solo la città, ma l’intero pianeta nella sue molteplici necessità pone. Declinandomi secondo coordinate che io sento come propriamente mie, dovrei risultare come soggetto politico culturale dignitoso, senza dubbio tutt’altro che in sintonia con la concezione complessiva che Lei ha di valori, princìpi, politica e visione del mondo: cioè tutt’altro rispetto a ciò che Lei è e rappresenta. Tutt'altro: ma niente affatto “criminale” o mostruoso.
Se però Lei derogasse all’imperativo esistenziale del Suo schieramento ed evitasse di criminalizzarmi, mettermi all’indice, chiamare a supremo giudice quello che secondo Lei e la Sua parte è l’irreversibile giudizio della storia — storia che mi avrebbe da tempo condannato e collocato in una fogna — ebbene se Lei facesse questo, cioè mi facesse grazia delle ossessioni ideologiche della Sua parte, lo scheletro dell’impalcatura ideologica che regge la “forma nuova” con la quale si è presentato alle elezioni amministrative, scricchiolerebbe paurosamente ed infine si frantumerebbe. Inoltre dovrebbe affrontare gli strali degli intransigenti della Sua parte, che tale concessione non Le perdonerebbero per nessuna ragione.
Quindi Le tolgo subito il fastidio di indugiare anche un solo nanosecondo per valutare e decifrare la mia identità. Diciamo che per Lei e per la quasi totalità degli italiani io sono semplicemente un fascista: nell’accezione caricaturale partorita dall’antifascismo, però, e non certo nell’accezione vera o che io potrei accettare o nella quale potrei eventualmente riconoscermi. Ed essendo come tale definito e catalogato, prima di argomentare domando: Lei pensa dunque di essere anche il mio sindaco e di quelli come me? Essere cioè il sindaco di un fascista? Oppure ritiene più opportuno fare un passo indietro e porre subito qualche distinguo?
Non che per me le cose cambino un granché. Si figuri. Con quello che ho passato e sono disposto a passare per le mie idee (veda al proposito i suggerimenti di Kipling e Pound, che ovviamente sottoscrivo), credo di poter vivere bene indipendentemente dalle scelte e prese di posizione del sindaco e quindi dalla probabile smania discriminatoria e persecutoria che l’accompagna. Ma a prescindere dalla Sua eventuale resipiscenza e quindi dalla improbabile riconferma dell’esternazione post-elettorale, resta la necessità di puntualizzare: perché ovviamente quel che Lei e i Suoi sodali intendono per fascismo/fascista non è esattamente quel che intendo io. Cioè, il vestito ideologico-valoriale cucitomi addosso da Lei e dai Suoi sodali proprio non mi piace: e più che andarmi stretto ha l’apparenza di un cencio ignobile e sozzo, più degno di chi l’ha ideato e tessuto di colui al quale lo si vuole fare indossare. Non è il mio vestito.
Quindi, prima di arrivare al dunque, cioè al senso di questa lettera, vediamo di intenderci. O magari di non intenderci affatto, mettendo però in evidenza subito che io accetto senza riserve la definizione che Lei dà di se stesso, le conclamate virtù e le proposizioni politico-amministrative a cominciare proprio da quel “sarò il sindaco di tutti”. Le credo. Credo alla Sua proposizione di uomo di sinistra, moderato ed espressione di una borghesia meneghina illuminata ed impegnata. E Le faccio persino dono della mia convinzione che la Sua militanza giovanile nell’ultrasinistra — tanto evocata e rimproverata dalla cialtroneria destrorsa — Le fa solo onore; a quel Suo trascorso militante io rendo omaggio quand’anche si fosse estrinsecato solo nel concorso al furto di un furgone. Perché io riconosco che Lei da giovane, evidentemente, aveva sangue nelle vene e vigore ideale tanto da reagire al grigiore della dittatura democristiana oggi tanto rivalutata ed invocata. Non fece come altri giovani, veri struzzi metropolitani, che preferirono ficcare la testa sotto i banchi della Bocconi o le sottane del privato per non affrontare il grippaggio politico-sociale-culturale che attanagliò la nostra Nazione e in genere tutto l’Occidente. Struzzi che oggi, senza vergogna e imbarazzo, portano ben alta la testa, ergendosi al di sopra del disastro che hanno generato da quando sono diventati egemonici e tengono ben salde in mano le briglie del potere. Struzzi che oggi impartiscono lezioni di etica e La costringono (suvvia, lo ammetta! Ammetta che hanno già messo il cilicio e la cintura di castità al Suo progetto originario...) a varare una giunta rosa shocking/shopping piuttosto che rossa. Sa quel bel rosso?, potente, vermiglio, sanguigno, passionale, immenso come avrebbe detto un grande poeta inopinatamente fucilato (e dietro il calcio dei fucili non c’erano mica i fascisti, mi creda); insomma, rosso orgoglio! L'idea di tinteggiare tutto con il color zucca non è male, anche se l'arancione alla lunga stanca.
No. Lei, da giovane, muovendo da un’ideologia che comunque non è la mia si mise in gioco. Perché allora era necessario spendersi e metterci del proprio. Forse oggi sarebbe ancora più necessario, ma questa è un’altra storia che per ora lasciamo da parte.
La ritengo credibile, dicevo, e infatti son qui a scriverLe proprio perché la prendo in parola. Ma mi dica: Lei è disposto a fare altrettanto con me? Lei è disposto a dar credito all’identità da me declinata distinguendosi dalla quasi totalità dei Suoi sodali che, come le cozze con lo scoglio, restano abbarbicati alla pluridecennale asserzione secondo la quale i fascisti mistificano; si definiscono in termini menzogneri; e le istanze sociali, culturali, politiche che promuovono sono false, declinate con perfidia al fine di ingannare la gente? È una domanda retorica, lo sappiamo. La risposta la conosciamo. Vero?
Lei e i Suoi sodali, per mettere fuori gioco quelli come me — dopo la definizione di “fascista” che dalla Vostra prospettiva sottintende un sacco di cose turpi come razzista, oppressore dei deboli, omofobo, xenofobo e una volta (ma questo per evidenti ragioni non osate più dirlo) “servo dei padroni” — avete l’abitudine di chiamare in causa la Costituzione di cui vi ergete fieri difensori contro il nemico numero uno: il fascismo. Stucchevole mantra, il Vostro: che per altro è purissima mistificazione. E non solo perché nella Costituzione è filtrata una consistente quota parte dell’ideologia fascista di cui nessuno di Voi sembra accorgersi — forse perché pochi tra quelli che la citano poi la conoscono veramente, e tra quei pochi ancor meno si son presi la briga di studiare la dottrina del fascismo per cui alla fine manca la possibilità di riscontrare. Non solo per questo singolare aspetto (che pure meriterebbe una bella precisazione), dunque: bensì anche perché tutti, ma proprio tutti Voi, maramaldeggiate sull’articolo che citate per sostenere che il fascista non ha diritto di espressione né di associarsi.
E allora mi consenta, prima di entrare nel merito delle questioni specifiche di Milano, di divagare un po' e di vedere assieme a Lei come stanno veramente le cose su questa questione.
Voi citate sempre la prima parte dell’articolo XII delle “Disposizioni transitorie e finali”, ma mai la seconda parte. Né nessuno di Voi è in grado di dirci quanto debba durare questa transitorietà. Ma non fa niente. Facciamo pure conto che debba durare ancora tremila anni, almeno quanto debba essere inteso come “provvisorio” l’inno italiano.
Dice la prima parte del famoso articolo:

«È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

Sa, signor sindaco, per quale ragione questa norma figura nelle disposizioni transitorie e quindi, per dire implicito della medesima Costituzione, è suscettibile di essere prima o poi rimossa? Perché all’atto della messa a punto della Costituzione il disciolto Partito fascista era tutt’uno con l’apparato dello Stato. Lo Stato era fascista, e il Partito Fascista era lo Stato. La gran parte dei vertici di comando — corpo insegnante, magistratura, forze armate, carabinieri, polizia etc. — annoveravano uomini “compromessi” (direste Voi) con il fascismo. E non era ovviamente da escludere, non impedendo la costituzione di un partito fascista in vista delle allora imminenti elezioni, l’aggregazione di tutte queste forze e personalità, cosa che avrebbe potuto generare un fortissimo partito fascista vincente su tutti gli altri partiti nella competizione elettorale. Logico, anche perché tutti gli altri partiti non avevano ancora avuto il tempo di organizzarsi a dovere e di farsi conoscere. Del resto l’allora recente referendum monarchia/repubblica, per quanto aggiustato in corso d’opera a favore della repubblica (diciamo così per carità di patria) aveva presentato un paese spaccato a metà. Era logico attendersi comunque un buon risultato di un eventuale Partito Fascista che – ormai è storicamente provato – aveva avuto uno strepitoso consenso di massa (non è solo De Felice a sostenerlo). Quindi bisognava vietare la costituzione di un Partito Fascista nell'immediatezza della riorganizzazione del nuovo Stato — peraltro asservito agli interessi dei vincitori. E che fosse solo questa la ragione lo attesta proprio il prosieguo dell’articolo XII — la famosa seconda parte sempre taciuta:

«In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista».

Vogliamo parlarne? In pratica, stando alla Costituzione, Benito Mussolini dopo cinque anni avrebbe potuto essere eletto al Parlamento e quindi, a rigor di logica, tornare a fare il presidente del Consiglio già negli anni ’50. E ciò è tanto più vero se si considera il fatto che l’articolo successivo, il XIII, chiarisce chi non potrà mai essere elettore ed eletto, ricoprire uffici pubblici e cariche elettive; e anzi, per sovrammercato, precisa che «alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale». Si tratta dei Savoia, signor sindaco: che come ben sa, sono poi rientrati in Italia e godono di tutti i diritti previsti dalla Costituzione. Per cui chi era definitivamente escluso oggi può diventare presidente della repubblica o del consiglio. A rigor di Costituzione!

Dunque una cosa è assolutamente chiara: questo Vostro aggrapparvi alla Costituzione contro i fascisti e le loro associazioni è assolutamente strumentale, pernicioso e ormai ridicolo; e a dirlo a chiare lettere è proprio la Costituzione che Voi invocate.
Perché l’articolo 49, che non è assolutamente transitorio, recita:

«Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

E in un altro articolo, anch'esso non transitorio, il 17, leggiamo:

«I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso».

Né l’articolo 49 né il 17 menzionano i fascisti come soggetti nei cui confronti è possibile derogare alla norma. E come abbiamo visto, quando c’è bisogno di escludere qualcuno (XIII norma transitoria) la Costituzione è chiara limpida e inequivocabile.

Ma poi c’è l’articolo 21, che recita:
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»

Una sola cosa proibisce l’art 21: «le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume». Non so dire cosa sia oggi il buon costume. Di sicuro, quando la Costituzione è stata scritta non poteva essere inteso “buon costume” il gay pride di cui la Sua parte politica ha fatto bandiera e che per Sua implicita dichiarazione Lei ha accolto a Milano.

E anche chiamando in causa la Costituzione in merito alla famigerata legge Scelba (relativa alle Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale - comma primo - della Costituzione) si compie qualcosa di molto simile a una forzatura. Per il semplice fatto che, richiesta di pronunciarsi nel merito, la Suprema Corte presieduta dall’ex capo dello Stato Enrico De Nicola ha più glissato (anche su questioni sollevate da corti giudicanti) che sentenziato evitando di entrare nel merito del quesito: “l’intera legge Scelba è costituzionale?”. Siccome oggettivamente questa legge non lo è, la Suprema corte ha sentenziato che ad essere investita della questione non è la Costituzione bensì la XII norma che è “transitoria”. Come dire: fuori della Costituzione! Insomma, un po’ come il carcere di Guantanamo: il quale, non trovandosi sul territorio statunitense, non è tenuto al rispetto della legge americana che tra l’altro proibisce la tortura — pratica che a Guantanamo è quotidianamente applicata.
Ma poi di che parliamo, signor Sindaco? Di Scelba e della sua concezione della legge ovvero delle sue idee in materia? Va bene, ma allora ricordiamo quel che pensavano di questo democristiano reazionario i lavoratori e gli studenti degli anni ’50-’60. Io, da fascista, faccio miei i loro giudizi e, in merito alla questione fascismo/Costituzione la chiudiamo qui — per il resto è forse meglio scantonare, non crede? Perché se accettiamo l’idea che veramente l’art. 1 della Legge Scelba interpreta la XII disposizione transitoria della Costituzione, allora Lei deve ammettere di aver aderito o essere stato contiguo ad associazione parafasciste. Infatti, secondo questo articolo 1, se togliamo le ultime tre righe che specificamente potrebbero essere dedicate a quelli come me, per il resto la quasi totalità delle associazioni e dei movimenti giovanili antagonisti sorti nel dopoguerra ci rientrano in toto: «si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista».

Ora, signor Sindaco, Lei certo ricorderà come Lotta Continua, Potere Operaio, Democrazia Proletaria, Movimento Studentesco e la “sua” Prima Linea facessero spesso e volentieri ricorso alla violenza e alla coercizione come “metodi di lotta politica”, per giunta “propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni”: a partire dall'inno di Lotta Continua (http://www.lottacontinuaperilcomunismo.org/2009/11/testo-dellinno-di-lotta-continua.html), in cui si invita il popolo ad armarsi e si suggerisce di eliminare fisicamente i “padroni”, per arrivare ai testi estremamente chiari e inequivocabili di Potere Operaio — non Le dispiacerà, Sindaco, se ne riproponiamo qualcuno: la memoria storica è non soltanto importante, ma addirittura fondativa per qualsiasi istituzione democratica. Così si poteva leggere, dunque, sul periodico “Potere Operaio”:
- «Nelle città, bisogna prendersi le case, i trasporti, le cose che servono per vivere; bisogna prendersi la libertà di lavorare di meno [...] bisogna organizzarsi per non pagare più niente» (“Potere Operaio del lunedì”, 1971, a. 0, supplemento a. III, n. 42, p. 4);
- «Nella fabbrica aperta e che ancora lotta, come nella fabbrica in cassa integrazione, nei paesi del Sud come nelle città del Nord, nei quartieri e nelle scuole, vogliamo dimostrare che l'unica soluzione è la violenza aperta, e dimostrare che la violenza paga.» (“Potere Operaio del lunedì”, 1971, n. 0, supplemento n. 42, a. III, p. 1);
- «Forza di massa, forza militare. Forza di massa del movimento, forza militare dell'organizzazione di partito. Non c'è dubbio: le regole della guerra di classe sono esplicite, e guai a chi non ne prende atto. Esitazioni, ritardi, sacche di legalitarismo e di pacifismo non hanno più ragione di esistere. […] Non è vero che la violenza va bene solo quando è di massa, cioè a dire materialmente esercitata con azioni e comportamenti che implicano una partecipazione diretta di massa. La violenza del partito, la violenza di cui oggi la classe degli operai e dei proletari ha bisogno, è una violenza preordinata, comandata, specifica, il cui carattere di massa sta nella capacità di esprimere e di dare una risposta a un bisogno reale. [...] Oggi lo scontro fra le classi è arrivato a un punto, che il compito di disorganizzare politicamente e militarmente lo stato borghese è un compito all'ordine del giorno.» (“Potere Operaio”, a. III, 1971, n. 44, p. 12);
- «Così le bottiglie molotov, gli scontri di piazza, il pestaggio dei capetti e dei ruffiani, la distruzione delle sedi fasciste hanno per noi il significato di un sintomo: e cioè la riappropriazione da parte dei proletari degli operai e degli studenti del loro diritto a combattere il nemico su tutti i terreni - e quindi anche sul terreno politico militare.» (“Potere Operaio del lunedì”, a. II, 1973, n. 40, p. 2).

Se ne deve allora dedurre che Lotta Continua, Potere Operaio, Democrazia Proletaria, Movimento Studentesco e Prima Linea fossero organizzazioni fasciste? O che fossero fascisti lo Stato e gli organi giudiziari, come in quegli anni formidabili sostenevano Marco Pannella e tanti altri? Magari, a proposito di questo Stato “fascista”, potremmo passare qualche serata insieme a rileggere le annate dei giornali antagonisti del trentennio ’60-’90 del secolo scorso. Do you remember? Diciamo allora che questo “metodi propri” — anche alla luce della storia e di quanto avvenuto storicamente prima, durante e dopo il fascismo — fu una surreale concessione alla situazione dei tempi.

Allora, sindaco, smarchiamoci da questa perniciosa falsa questione per cui la Sua parte avrebbe in odio i fascisti perché sarebbero fuori dalla Costituzione mentre Lei e i Suoi ne sareste gli strenui difensori. A me personalmente, e lo dico da fascista, questa Costituzione sta bene così com’è, consapevole del fatto che saranno sempre i “progressisti” a disattenderla per primi, offrendo poi ai “reazionari” l’opportunità di strafare nello strapazzarla. Pensi che se io dovessi scegliere un articolo di cui farmi estremo difensore fino al punto di immolarmi per esso, sceglierei l’articolo 11. Quello che inizia così: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Sì, sì, signor sindaco, proprio quello di cui Massimo D’Alema ha fatto strame per la sporca guerra in Serbia. Se lo ricorda? E, grazie a quel precedente, come si poteva poi impedire che il nostro esercito, comandato da un governo reazionario, dilagasse nel mondo fino in Afghanistan al servizio della grande democrazia americana che, poveretta, da quando esiste non ha mancato un giorno all’appuntamento con la guerra? Guerra, sia chiaro, per il Bene contro il Male, per la Democrazia contro la Tirannide. E così di guerra in guerra, con la Vostra santa benedizione e dimenticando velocemente i predicozzi sparati alzo zero al tempo dell'invasione armata dell’Occidente in Iraq, siamo finiti a fare la guerra aerea anche contro la Libia. Sì, quella nazione lì che quando ci andarono i fascisti era solo per soddisfare mire colonizzatrici di guerrafondai, ma che ora è uno dei regni del male perché un cammelliere egocentrico che sì, è venuto da noi a farsi baciare l’anello, ma ha anche portato un sacco di soldi e contratti con opportunità di investimenti fuori controllo dagli americani, dagli inglesi e dai francesi — questo cammelliere, dicevo, ha proceduto un po’ energicamente a reprimere i rivoltosi per altro debitamente stimolati dai nostri cugini d’oltralpe. Sì, insomma, l’ha fatto usando il metodo Sabra e Shatila o quello birmano contro i Karen (sa niente di questi? Già, non hanno petrolio, non sono comunisti, e in pratica non sono nelle grazie di nessuno). Giro per la città e mi accorgo che dalle finestre sono sparite anche le ultime sgualcite bandiere arcobaleno… chissà dove sono finite. Forse a fare da sudario all’articolo 11 della costituzione. Ma vuoi mettere la XII norma transitoria! Eh no, per Diana! L’articolo 11 che ci procura caduti al fronte e miliardi di euro a babbo morto si può anche spernacchiare grazie al contributo dei “progressisti”, ma la XII norma transitoria no. Chi la tocca muore! Come dimostra la disavventura occorsa a quei cinque parlamentari che a febbraio ne hanno proposto l’abrogazione. Ovviamente, come al solito, è stata gara a mostrarsi indignatissimi. Alla fine credo che il primo premio vada assegnato all'onorevole Schifani, che da presidente del Senato, invece di difendere la libertà dei senatori, si è lasciato andare a una reprimenda surreale.
Ma già che ci siamo, restiamo un attimo sulla questione Libia. Perché qui Voi di “sinistra” dimostrate tutta la Vostra labilità nei confronti dei princìpi e dei valori nazionali. Per come è stata prefigurata la situazione, mi dice Lei che differenza passa tra l'Iraq di Saddam e la Libia di Gheddafi? Certo, da un punto di vista di concezione dello Stato, di costruzione del meccanismo nazionale di differenze ce ne sono. Ma l'Occidente ci ha detto che Saddam andava abbattuto perché possedeva armi di distruzione di massa (e non era vero), era antidemocratico e reprimeva le minoranze, come i curdi e gli sciiti. L'abbattimento di Gheddafi invece neppure è stato apertamente prefigurato. Si è voluto un intervento occidentale – si è urlato — per difendere dalla repressione alcune tribù rivoltose blandite da francesi e inglesi (e dal democratico Obama) per evidenti interessi sul petrolio. Voi di sinistra, a partire dai raffinati intellettuali e venendo in giù verso i politici passando per gli operatori di media, plaudite all'intervento. Il perché appare evidente. E la ragione è da voltastomaco. Saddam non era amico del governo Berlusconi. Andato al governo, Berlusconi era già schierato contro l'Iraq e quindi, per una questione di simmetria ideologica, Voi dovevate stare contro quell'intervento che pure entrava nella stessa logica dell'aggressione alla Serbia voluta da D'Alema. Parteggiando contro Gheddafi voi avete in testa non la fibrillazione democratica delle masse arabe (ma che ne è stato della democrazia in Egitto e in Tunisia?) bensì la disarticolazione del sistema berlusconiano. È, questa, una tradizione per cui ben pochi di Voi, all'indomani della seconda guerra mondiale, sono riusciti — per esempio — a pensare ad un comunismo nazionale piuttosto che ad un comunismo assoggettato agli interessi moscoviti del tempo. E questa dinamica per cui, alla fine, Voi piegate l'interesse nazionale (o regionale, o comunale) e quindi del popolo — che ha per patria la nazione Italia — alla visione ideologica che Vi anima è ciò che fa di Voi un elemento nefasto rispetto ai valori e alla ricchezza del patrimonio nazionale accumulati nell'arco dei secoli grazie al sacrificio dei nostri padri e dei padri dei nostri padri. È, questa, una cosa sulla quale poi tornerò. Se non proprio in questa lettera, in un'altra.

Guardi, signor Sindaco, so benissimo che tutto quanto sopra scritto — se mai avrà modo di leggerlo — Lei, molto probabilmente, lo assumerà con sufficienza, ci farà dell’ironia o ne trarrà motivo per atteggiarsi a classico antifascista indignato. In fondo il meccanismo è sempre quello: indignazione al massimo livello, sdegno ed esecrazione per il solo fatto che esista un simile pensiero e argomentare (il mio). Con i fascisti stragisti, razzisti, guerrafondai, propagatori di violenza (sono davvero tali? Se non lo sono, devono esserlo) non si parla. Manco li si ascolta. Così, populisticamente, si evita di entrare nel merito delle argomentazioni, e soprattutto di affrontarle. Ma è anche vero che esiste una remota possibilità per cui veramente Lei sia, nei fatti, anche il mio sindaco e quindi mi ascolti, riconosca le mie ragioni fondate benché forse non condivisibili, ed entri nel merito. Quando Lei ha dichiarato di voler essere il sindaco di tutti, ha implicitamente sostenuto di avere a cuore le sorti di tutti i cittadini. Anche la mia, dunque. E, come detto, La prendo sul serio e per questo ricambio a mia volta prendendo a cuore le sorti del mio sindaco, tentando di illuminarlo senza per questo pretendere gratitudine e riconoscimenti.

Vede, signor Sindaco, io sono assolutamente convinto che l’impegno antifascista che Voi mettete in campo non c’entri assolutamente niente con la difesa della Costituzione. Che tutto quello sopra esposto è solo un bell’esercizio dialettico, pieno di retorica ma vuoto di anima. Roma è universalmente grande non per essere stata la culla del cristianesimo, come molti sostengono, ma per aver donato al mondo il Diritto Romano, vera radice d’Europa — se proprio vogliamo trovare un minimo comune denominatore. Tanto più che in molte parti il cristianesimo è stato imposto, mentre il Diritto è stato cercato. Ma del diritto noi, che ne siamo la Patria, facciamo scempio quotidiano. Le nostre leggi sono piegate, sempre, alla necessità della logica di potere. E quindi il fascista nella sua città e nella sua nazione è all’indice e proscritto non per dovere di legge, ma perché il diritto è stato assassinato. E l’antifascismo diventa un collante per soggetti eterogenei.
Girare attorno alla Costituzione e alla legge quindi non serve. Serve capire il vero motivo di tanta aggressività, prepotenza e rancore verso “il fascista”, perché tale si proclama o perché come tale viene catalogato. E di motivi ce n’è più d’uno. Tra questi ora Le parlo del più odioso. Ma è necessaria una sostanziosa premessa.

Va riconosciuto, signor Sindaco, che a “sinistra” (come per “destra”, continuiamo ad utilizzare queste categorie politiche solo per comodità di comprensione) è da sempre in uso una fruttuosa prassi. Fruttuosa e saggia. In pratica, esiste da Voi una sorta di ascensore che costantemente mantiene in collegamento i reparti “istituzionali” e parlamentari con i bacini collettori di base sganciati dai partiti. Parlo delle cooperative e più ancora dei centri sociali. La funzione dei centri sociali metropolitani caratterizzati dai valori “di sinistra” è strategicamente essenziale per il rinvigorimento di tutta la Vostra area. Un giovane è per natura esuberante, cerca centri di aggregazione ove poter fruire di tutte le forme di socialità che gli sono necessarie. Se il giovane che frequenta un centro sociale è portato alla devianza, probabilmente finirà con l’andare ad alimentare quegli strati di nichilismo passivo abbondantemente diffusi nella nostra società, e che costituiscono sacche rigonfie di adolescenti emarginati ovvero giovani refrattari all’attuale modello di sviluppo. Questo per dire che i centri sociali non hanno l’esclusiva della devianza giovanile, e non è vero che la producono — semmai l’accolgono, la organizzano e spesso la cavalcano. Se però la tendenza del giovane che entra in un centro sociale è di tipo artistico, è facile che egli vi trovi le condizioni ideali per crescere e farsi le ossa, favorito dall’immaginario giovanile, dalle tendenze e mode in atto che spesso pulsano proprio nei centri sociali. Può quindi capitare di veder crescere un regista, un musicista, un letterato. Ci sono poi giovani la cui vocazione è di tipo politico: li vedremo crescere facendosi le ossa nella sperimentazione “sulla strada” per approdare infine ai reparti istituzionali. Mi pare che Lei in giunta abbia un paio di elementi che provengono giustappunto da quel mondo. E molti altri saranno presenti nell’apparato burocratico che fa da base al Suo governo cittadino. Ciò a dire che il livello “istituzionale” e quello “partitico” si avvantaggiano succhiando giovanile forza vitale dai centri sociali, che alla fine svolgono appunto la funzione di bacini collettori.
A “destra” tutto questo non esiste. E se ne fanno un vanto. I vari livelli della piramide sono quasi a compartimenti stagni, e si sale o si scende per cooptazione. Il caso di una igienista dentale in Regione Lombardia è semplicemente emblematico. Il più eclatante — ma in qualche modo la norma. E questa è una delle ragioni per cui quello schieramento non ha seguito nel mondo giovanile, non lo aggrega né riesce a collegarsi con i nascenti nuovi fermenti che magari, all’origine, potrebbero persino essere per natura di sua pertinenza.
Ma i giovani non attratti dai linguaggi fatti propri dalla “sinistra” — e quindi dei centri sociali — non hanno la possibilità di accedere a “bacini collettori di destra”: perché non esistono. E non esistono perché, checché se ne dica, i centri sociali non sono un fatto autonomo e indipendente ma abbisognano di un minimo di compiacenza “istituzionale”. Altrimenti non ci sono santi che tengano: vengono chiusi d'autorità. La destra istituzionale è essenzialmente reazionaria e conservatrice, e non può neppure per gioco ipotizzare una qualche forma di compiacenza con “centri sociali di destra”. Ma non tutti, nascendo, sono destinati alla “sinistra”. Ci sono giovani esuberanti dotati di creatività radicale che spesso trovano negli echi della cultura fascista a Voi sconosciuta e/o da Voi volutamente ignorata le idee ispiratrici per aggregazioni al passo con i tempi, per associarsi al fine di alimentare un impegno anche sociale. Detto questo, è facile immaginare le obbiezioni della Vostra parte. Perché quando il Suo schieramento parla di fascismo lo spurga di tutti i fermenti di avanguardia artistica, sociale e culturale che gli erano propri. Ma se tenete presente che persino il futurismo si è espresso nel fascismo, come pure il fiumanesimo dannunziano con annessi e connessi; che le fondamenta dello stato sociale ancora oggi sopravvissuto allo smantellamento neoliberista furono gettate in epoca fascista; e che appunto a questo si richiamano i giovani nell’elaborare il loro nuovo linguaggio — se tenete presente tutto questo, allora forse comincerete a capire perché vi sia un esplicito richiamo al fascismo.
Le vostre obiezioni? Ma il fascismo usò la violenza per mezzo della polizia, perseguitò gli oppositori, mise in campo le leggi razziali, fece la guerra.
Va bene. Ma non è da tutto questo che la gran parte dei giovani sono affascinati. Quello che richiamano è la dottrina. Perché altrimenti ogni volta che si parla di idea comunista bisognerebbe tirare in ballo lo stalinismo, Pol-Pot e Menghistu; ogni volta che si parla di cristianesimo si dovrebbe far carico a chi si professa cristiano delle guerre crociate, delle atrocità perpetrate dalla Santa Inquisizione, dei massacri coloniali ispirati da missionari invasati con truppe al seguito, o del commercio di schiavi non di rado benedetto da preti e frati...
Lei pensa che nelle questure francesi e inglesi degli anni ’30 ci fosse, nei confronti degli arrestati, meno efferatezza di quanta ce n’era in Italia? Che i detenuti della Cayenne stessero meglio di quelli ospitati all'Asinara o a Porto Azzurro? Che si debba definire la dottrina democratica statunitense passando per le bombe atomiche sganciate sul Giappone o per le prigioni di Guantanamo e Abu Ghraib? Lei pensa che si debba valutare l’orgoglio dell'odierno giovane inglese conservatore attraverso quello che erano l’amministrazione e l’assetto coloniale ancora in vigore nella prima metà del secolo scorso? Non credo. E allora perché discriminare e applicare ai fascisti quel che non si applica a nessuno?
La questione, dunque, è molto semplice. I giovani che oggi non rinnegano l’essenza della dottrina sociale fascista e si propongono con progettualità efficace danno molto fastidio a sinistra e a destra, perché veri competitori e veri portatori di modelli di sviluppo alternativi. L’antifascismo, la costituzione, il giudizio storico sul regime fascista diventano tutti alibi per penalizzare effervescenze giovanili veramente alternative. Alternative a quelle proprie del Suo schieramento e allo schieramento da Lei sconfitto sul piano elettorale. Con mia soddisfazione, oltre tutto. Perché ormai Milano era intrappolata in una ragnatela reazionaria, soffocata da una cappa grigia senza alcuno sprazzo di vitalismo e capacità di risposta sensata alle problematiche di nuova proposizione.
Questo per dire e chiarire che chi si sente veramente fascista, nel senso accettato da quelli come me, non nutre alcun sentimento di comunanza o vaga omogeneità con il cosiddetto “centrodestra”.
Certo, può capitare di avere un sincero rapporto di reciproca stima, e magari di ottenere pure un minimo di sponda con alcuni loro esponenti. Ma il tutto è giocato su base personale, e non per coincidenza “ideologica” come spesso alcuni di Voi insinuano.
Il Consiglio comunale non aveva ancora emesso il primo vagito che già una consigliera sostenitrice della Sua maggioranza e riconducibile al Suo schieramento dichiarava di presentare interpellanza per capire perché e come una certa associazione fascista avesse ottenuto una piccola sponsorizzazione dalla Regione Lombardia. Sponsorizzazione per un convegno sulla solidarietà, i cui relatori erano persone giustappunto impegnate da anni nel solidale. Questa cosa è perniciosa, fastidiosa e frutto di rancorosa ignoranza. Se Lei fosse veramente il sindaco di tutti, avrebbe dovuto subito richiamare la Sua consigliera. E chiedere: “Hanno perpetrato violenza? Hanno propugnato discriminazione? Hanno espresso la volontà di abbattere la democrazia? Hanno recato danno alla città?”. E ottenuta una risposta inevitabilmente negativa, con annessa conferma che tutto si è svolto nel pieno rispetto dei dettami democratici, avrebbe dovuto, da sindaco di tutti i cittadini, prendere le difese degli organizzatori il convegno.
Guardi, nessun fascista avrà mai nulla da ridire se il Comune da Lei guidato verserà contributi ad associazioni oggettivamente marginali e ideologicamente fortemente caratterizzate a sinistra. Allo stesso modo nessun fascista si attende anche un solo euro di sponsorizzazione a iniziative che dovesse mai mettere in cantiere. E tutto questo ci sta. Quello che non ci sta è la continua e costante persecuzione di ogni iniziativa di queste associazioni definite o autodefinitesi fasciste.
Perché poi è facile sostenere di essere per la libertà di pensiero. Come si fa, del resto, a limitare il pensiero di un individuo? Non si può: e quindi tanto vale essere concettualmente generosi. Ma si può impedire che il pensiero venga espresso, ed è quello che giustappunto la Sua parte fa sostenendo di voler così salvaguardare la libertà di pensiero del popolo dai fascisti che tale libertà vorrebbero reprimere. Tutti possono esprimersi, tranne i fascisti — e quelli che vengono ritenuti tali — perché se si esprimessero vieterebbero agli altri di esprimersi, dice la Sua parte. In realtà i motivi principali di tanto antifascismo sono almeno due.
Il primo: c'è la percezione della forza di un pensiero e di un modello di sviluppo affascinanti e alternativi tanto a quello di sinistra quanto a quello di destra. C'è il timore che si generi consenso. Ne avete (Lei e la Sua parte) paura forse perché il Vostro pensiero va alla storia, quando il Regime fascista ottenne un consenso quasi unanime. E non vi rendete conto che questa è tutt’altra dimensione spazio-temporale, e che anche antropologicamente siamo in presenza di tutt'altra cosa.
Il secondo: avete un’idea preconcetta e falsa del fascista. Voi che continuate a urlare l’avversione ai preconcetti siete l'incarnazione del preconcetto, Vostro inalienabile patrimonio privandovi del quale pare perdiate identità. Prima di tutto e avanti a tutto siete ANTIfascisti. Poi, solo poi, siete PER qualcosa. Infatti, chi di voi ha mai verificato? Si è confrontato? Quando mai avete tentato di essere “dentro” il concetto? Perché se un fascista fa un convegno sulla solidarietà, sul diritto alla casa, sul ruolo della donna come madre, sullo strapotere delle banche, sulla scuola voi lo criminalizzate? A prescindere. Tutti possono fare un convegno, una conferenza, un incontro, una presentazione editoriale, su un qualsiasi tema, tranne i fascisti.
Io sono certo che se un individuo davanti a Voi si dichiarasse matto, Voi attraverso un’associazione o una qualche commissione di psichiatri Vi dareste da fare per VERIFICARE a) se quell’individuo è veramente matto; b) se il suo concetto di “matto” collima con il Vostro. Perché dunque se uno si dichiara fascista voi non VERIFICATE se quell'individuo, dicendosi tale, intende la stessa cosa che intendete Voi? Io Vi sfido a trovare un solo individuo che, dichiarandosi fascista, si riconosca nella Vostra descrizione. Non esiste. E lo sapete bene. E Vi fa comodo far finta di niente.

Ma torno a Lei, signor Sindaco.
Vede, signor Sindaco, da ogni regno ideale, da ogni dottrina, religiosa o politica che sia, non solo germogliano eresie ma anche marginalità e devianze. Pensi di cosa sono state capaci alcune sette antiabortiste statunitensi che si richiamano alla Bibbia. Lei valuta e giudica il cristianesimo in base all'azione di quelle sette? Non credo. Perché allora è prassi giudicare il complesso del “neo-fascismo” ponendo al centro le espressioni di certa marginalità?
Si dice che il fascismo fu incultura. Guardi, a partire da Pirandello e Gentile scendendo in giù potrei elencare centinaia di intellettuali e artisti che furono fascistissimi. Tant'è che se ne è accorta anche una ricercatrice antifascista come Alessandra Tarquini (Storia della cultura fascista, Il Mulino: un testo uscito proprio ora mentre Le sto scrivendo). Per contrastare il luogo comune dell'equazione “fascismo = incultura” serve dire che la Tarquini non è la sola? Che altri antifascisti, a partire da De Felice, hanno dovuto ammettere che l'incultura non ha casa nel fascismo del Ventennio? Del resto, se Lei gira per la città di cui è diventato sindaco si renderà ben conto, per esempio, di quanta cultura trasudi dalla sola “architettura sociale”: la stazione centrale, il palazzo di giustizia, la casa dello studente... Inutile fare l'elenco. E sa qual è il bello della situazione di allora per la cultura e persino per la progettualità politica? Che al suo interno il fascismo regime aveva un dinamismo plurale che l'Italia non ha mai più conosciuto. Oggi il pluralismo culturale è stato posto all'esterno, fuori della trama del potere e verso il basso. Determinando, attraverso l'illusione di una falsa libertà, la sterilizzazione degli input di avanguardia. Nel fascismo mussoliniano, invece, era dentro il sistema e contribuiva a fare sinergia. Per cui all'interno della cultura fascista potevano coabitare ed esprimersi intellettuali che andavano dall'anarchico fascista Berto Ricci fino all'aristocratico Julius Evola, con nel mezzo una varietà di espressioni culturali e progettuali che l'Italia post-fascista non ha mai conosciuto.
Questo pluralismo di linee culturali e politiche — insieme alle eresie, alle marginalità e anche alle devianze — è tutto presente in quel bacino che la Sua parte chiama “neo-fascismo” (nuovo fascismo). Che è sì nuovo in quanto si discosta dalle forme politiche del regime fascista: ma, e neppure paradossalmente, è più antico. L'anima “neo-fascista” è antica, fa proprie idee, valori e principi originari che sono fondanti della nostra Nazione e dell'idea di Stato. Ed è proprio attraverso queste idee, questi valori applicati armoniosamente nelle diverse epoche che è stata forgiata la meglio Italia, a partire dalla civiltà romana a venire in qua. E ha quindi generato il fascismo mussoliniano che ha governato l'Italia per oltre un ventennio nel bel mezzo dei 150 anni di unità nazionale.
Lei e i Suoi fate confusione. Eppure avete tutti, o quasi, celebrato il centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia. Ebbene, dentro questi 150 anni ci sta tutto il fascismo che il mondo intero ha ammirato e riverito... almeno fino al 1940. Il fascismo mussoliniano è un figlio d'Italia abbattuto militarmente. Politicamente sono implosi i socialismi reali, e oggi ad implodere a catena sono i sistemi demoliberali. Il Fascismo no. Per il fascismo mussoliniano ci sono voluti i bombardieri angloamericani, gli sbarchi in Sicilia e ad Anzio. E solo una mente malata poteva riferirsi a quel fascismo come al “male assoluto”. Non è così. Ma questa è una diatriba storica dalla quale, politicamente, possiamo tranquillamente prescindere. Vi ho fatto riferimento per una ragione ben precisa. Io non voglio fare come certi che glissano sul passato. Io rivendico il diritto di avere un'opinione diametralmente opposta alla Sua per quel che riguarda la nostra storia, e giudicare positivamente quel che magari Lei giudica negativamente. E mi impongo affinché questa diversità di giudizio non costituisca discrimine sulla progettualità politica, allo stesso modo in cui non lo costituisce il credere o non credere alla verginità della Madonna. Quindi, signor Sindaco, per quel che mi riguarda Lei deve prendere atto che io considero il regime fascista una cosa grandiosa, che da fascista del Nuovo Millennio non ho alcuna nostalgia né volontà di restaurazione e che la mia progettualità non è carica di tutte le nefandezze che la Sua parte va elencando.
Le dirò di più, e le dò qualche elemento utile a smontare i Suoi preconcetti.
  1. Non ho niente contro l'Islam e sono favorevole alla edificazione in Milano di moschee e centri culturali musulmani;
  2. Non sono ostile agli omosessuali. Sono, concettualmente, ferocemente ostile alle oscenità tipo gay pride;
  3. Non sono anticomunista: sono eventualmente antimarxista che è altra cosa;
  4. Non sono favorevole alla assimilazione degli immigrati ma sono per una sana e rispettosa integrazione;
  5. Sono per l'edilizia popolare e per il diritto alla casa;
  6. Sono contrario alle privatizzazioni. Quando uno Stato funziona bene anche le imprese che dipendono da lui funzionano bene;
  7. Sono per la tutela di tutte le minoranze;
  8. Sono per la massima limitazione delle auto private nel centro cittadino;
  9. Sono per lo sviluppo delle forme di produzione energetica alternativa;
  10. Sono un radicale dell'ambientalismo e quindi della salvaguardia del paesaggio e della natura;
  11. Sono per la tutela degli animali, ferocemente contrario alla vivisezione, e per la severa punibilità di quanti maltrattano gli animali.
    Ma sono anche per lo Stato organico, per la gerarchia funzionale, per la salvaguardia delle specificità e tradizioni nazionali e dell'intero patrimonio culturale italiano — che è in massima parte di natura pre-democratica se non antidemocratica essendo il modello democratico in vigore solo da qualche decennio. E a onor del vero il meglio l'abbiamo espresso prima.

    Detto tutto questo, la domanda è: ma Lei sarà anche il mio sindaco?
Sì, è vero, io non l'ho votata. Non solo perché pur essendo figlio di genitori milanesi abito nell'hinterland e quindi alla fine il mio sindaco è un altro. Ma anche volendolo, non avrei potuto votarLa. Avevo poco più di 18 anni, ero in carcere, e un altro sindaco di Milano — Aniasi —, in prossimità di non so più quale elezione, mi fece avere una lettera che mi sospendeva dalle liste elettorali per indegnità. Poi ci ha pensato la Corte d'Assise a darmi l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e quindi a togliermi il diritto al voto. A quel tempo, tra l'altro, colui che oggi è tra i Suoi maggiori sponsor, Piero Bassetti, era presidente della Regione Lombardia che finanziò e produsse un ignobile documento sulla supposta “Violenza fascista in Lombardia”, prodromo al famigerato opuscolo “Pagherete tutto, pagherete caro” di “Lotta continua”, vero e proprio promotore di nefandezze ai danni della gioventù lombarda non schiacciata sugli ideologismi della Sua ultrasinistra.
Teoricamente, se richiedessi la revoca del provvedimento con cui mi si interdice dai pubblici uffici avrei sicuramente soddisfazione. Ma non capisco perché dovrei piatire un simile “diritto”, tanto più che è in corso di discussione (e la Sua parte se ne è fatta paladina) il diritto al voto agli immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza. Io la cittadinanza ce l'ho. Abito una terra che i miei avi hanno coltivato con la zappa e difeso con il pugnale tra i denti, ne sono cittadino ma non posso votare neanche volendo. Potranno farlo, e decidere in una certa misura, quelli che arrivano oggi e godranno delle ricchezze messe a nostra disposizione dai padri. Non crede, dunque, che sia il caso di adoperarsi, oltre che per il diritto di voto dei cittadini immigrati, anche per la possibilità di voto di quegli uomini che, come Lei, negli anni '70 decisero di mettersi in gioco? Il Destino ha decretato chi poi dovesse essere preso dentro il vortice giudiziario e carcerario: e spesso chi non c'è finito lo deve solo alla pura casualità. Credo che Lei potrebbe essere tra quelli baciati dalla dea Fortuna. Del resto la cosa ha poca importanza.

Ma se anche non sono proprio cittadino di Milano e non sono iscritto nelle liste elettorali, Lei pensa di poter essere il sindaco di quanti mi sono simili e si sentono fascisti per ragioni diametralmente opposte a quelle per cui Lei ideologicamente li condanna?

Che Lei risponda oppure no, sappia che io sarò costantemente impegnato per il benessere della mia Milano, e farò di tutto affinché non ci sia discriminazione per la mia parte. Soprattutto sarò impegnato affinché non ci sia depauperamento del patrimonio che anch'io ho ereditato da quelli che ci hanno preceduto. E Le dico che oggi mi fa piacere vedere quanto la Sua parte si sia affezionata al Tricolore. Ricordo cosa significava per me lo sventolarlo, quarant'anni fa. E ricordo bene quanto fosse inimmaginabile vederne uno nell'affascinante mare di rosse bandiere.

Mi piace chiudere questa lettera ricordando come la storia sia volubile. Negli anni '20 del secolo scorso, in Europa ci si attendeva l'avvento del Bolscevismo. Negli anni '30, invece, l'Europa fu “nazifascista” (che brutto termine!). Nel 1938, non penso che fossero in molti a pensare che di lì a qualche anno avremmo avuto l'Europa di Yalta, che ancora negli anni '70 sembrava una situazione irreversibile. Come sono andate le cose, lo sappiamo. Volando più basso, tutti si aspettavano l'exploit della Lega alle ultime elezioni cittadine, e la tenuta del PDL. Invece ha vinto Lei. E mi ha fatto venire in mente il D'Annunzio agli albori del secolo scorso, quando lasciò la destra per andare ad occupare i banchi della sinistra: «Vado verso la vita!». E aveva ragione. Ma poi, quando la Nazione va in crisi, allora sono altre le postazioni da cui è possibile rivitalizzarla e difenderla. E D'Annunzio andò a Fiume!
Tenga presente questi aspetti della nostra storia. E tenga presente che non è più accettabile il giochino per cui la “sinistra” tende a mettere fuori gioco il pensiero e la progettualità antagonista che sta oltre la sinistra chiamando in campo l'antifascismo. Tanto più ora che, almeno qui a Milano, avete la mezzadria del Potere. Fatevene una ragione e accettate l'antagonismo, rispondendo nel merito delle idee senza evocare fantasmi e l'inquinato immaginario collettivo.

Il cittadino milanese Maurizio Murelli














11 commenti:

Alessandra Colla ha detto...

Ottimo lavoro. Non è importante che serva a qualcosa, è importante averlo fatto ;-)

monterosaardito ha detto...

Come avrebbe detto il Barone: "Abbiamo fatto ciò che andava fatto". Ora vediamo quanti "fascisti" milanesi non sono andati al mare...

Maurizio

Andrea ha detto...

Bella lettera: condivido tutto.

Andrea ha detto...

C'è un po' troppa animosità, del tutto giustificata peraltro.
Io ho abbandonato la sinistra da un decennio per gli stessi motivi qui descritti... però c'è anche molto appello - fondato - ad un Novecento che la sinistra ha voluto chiudere malamente e che è emotivamente disattivato per loro. Non hanno fatto una piega - nessuno di loro! - a divenire una disossata formazione radical-socialista da Terza Repubblica francese, partito organico del capitale finanziario ancor prima che industriale, figuriamoci!
La sinistra ha accettato la propria morte con la totale inconsapevolezza con cui parlano di costituzione, antifascismo, diritti, gay, ecc. Ultimo spettro della società dello spettacolo, la sinistra sta alla realtà fantasmatica che viviamo come un animatore ad una festa di compleanno in collina: è giusto offrirle alcune tartine, pagarle il dovuto e metterla in libertà, come si diceva nelle case borghesi di una volta.
Non si può nemmeno dialogare sulla loro storia con quelli di sinistra; sono dei cadaveri ambulanti che stanno rendendo l'ultimo servizio al capitale come animatori nel "sociale". Punto.

monterosaardito ha detto...

Il problema non è tanto la "sinistra" intesa come ideologia o progetto sociopolitico. Il problema grosso è che la sinistra prima di suicidarsi ha procreato, copulando con il demoliberali, un mostro chiamato "antifascismo", una cosa che non ha alcuna attinenza con il fascismo e neppure con l'antifascismo degli anni '40 del secolo scorso. L'antifascismo è un sistema di autonoversazione del sistema liberalcomunista. Agisce da anticopro nei confronti delle nuove effervescenze giovanile, della nuova progettaulità. Basta lanciare l'anatema e una nuova espressione ideale, specialmente se fatta di giovani viene neutralizzata.

Andrea ha detto...

Amadeo Bordiga disse che l'antifascismo sarebbe stato il peggior prodotto del fascismo: evidentemente c'è n'erano di migliori.
E' una vecchia storia, Maurizio: il mostro chiamato antifascismo è coevo alla "Liberazione". Ricordo perfettamente che il Pci ne fece una ragione sociale superiore a qualsiasi altra fin dagli anni Cinquanta: non è certo nato con l'odierno suicidio assistito della sinistra. Il problema è che da questa pseudo ragione sociale, ridicola e "in negativo", non poteva nascere nulla e, perdendo - la sinistra - qualsiasi altra identità, è rimasta solo questa lotta immaginaria contro un fantasma ridicolo. Tutto deriva dall'interpretazione togliattiana del fascismo come regime reazionario di massa e come feroce reazione del capitale all'insorgenza rivoluzionaria socialista e comunista. In fondo, ponendo per buona questa interpretazione della metà degli anni Trenta, al meglio potrebbero essere collocati come custodi di un cimitero di ricordi: ma loro, poveretti, ritengono ancora che il capitale sia quello degli anni Trenta, sempre pronto a brandire la minaccia fascista... Credono nell'immutabilità delle forme, nel fascismo immortale e onnipotente, come nel socialismo immortale e redentore: è, nel migliore dei casi, puro teatro Kabuchi. Sono del tutto d'accordo con te: hanno sterilizzato il mondo giovanile ed è per questo che è stato affidato loro il ruolo di animatori del "sociale", con le scenette della Fiom, la femminista ex Psi lombardiana, amica dei gay e delle lesbiche a dirigere la Cgil, Santoro, Travaglio, i comici, ecc.
Io provengo dal quel mondo... lo conosco bene!

monterosaardito ha detto...

Molto convisibile quello che dici. Stare qui a fare la classifica di chi sta peggio tra "partiti", PCI, MSI e PSI pur nella loro nuova veste (PD, PDL...) o tra i sindacati è solo puro divertimento. Per chi ancora si sente mobilitato e impegnato per il mutamento del/nel sociale, l'unica cosa pssibile da fare è aggredire a testa bassa i mostri che stoppano nuove prgettualità per liberare veramente i giovani dai tic ideologici.
Come ti ho detto, io sono costretto a chiamare il mostro dei mostri antifascismo, una roba che non ha nulla a che vedere con il fascsimo comunque lo si intenda e quindi l'antifascismo bellico. Si tratta di una roba che serve solo alla repressione e alla messa fuori gioco del nuovo autentico. Io che prevalentemente sono per i "per" mi tocca fare l'anti: l'antiantifascismo. E alla fine è questo il seso della lettera. Le notizie che ho raccolto circa le schifezze già avviate dalla nuova giunta in molti casi sono coperte ancora una volta dall'antifascismo. Tra l'altro perpetrate con molta ipocrisia. Pisapia, per non essere preso in castagna dai benpensanti, come comune non elargirà sposorizzazioni ai centri sociali. Lo farà attraverso i consigli di zona. Perché vuole "la democrazia, la partecipazione il coinvolgimento della popolazione", dice lui. E nei consigli di zona stanno mattendo a punto - e in alcuni casi già approvato - regolamenti in base ai quali si possono ottenere finanziamenti per attività sociali e culturali solo se si è associazione antifascista. Testuale. Capisci? Chi poi distribuisce il patentino di antifascista? Spesso il peggio del peggio dei centri sociali entrati nelle istituzioni inermedie del sistema, come appunto i consigli di zona. Mica i nipoti di Primo Moroni. No, i figli degeneri di Farina, Rizzo e di quel Limonta che oggi si presenta in TV a fare la barte del bonzo pacifico.
Da non so quanti anni funzionano i centri di osservazione antifascista, che vengono definiti democratici (e ti pareva!) a cui aderiscono pure preti (come si fa ad essere teocratici e democratici allo stesso tempo, poi un giorno me lo spiegheranno). Ora sto valutando l'idea di mettere in piedi un "osservatorio sinistri" per rendere pubbliche le schifezze perpetrate in nome (o con la copertura) dell'antifascismo. Schifezze che qui a Milano nei prossimi anni passeranno attraverso concessioni all'antifascismo straccione dei centri sociali o dei rifondaroli. Obiettivo: disinnescare l'attenzione sull'Expo' per il quale la contrattazione sotto banco tra gli affaristi delle precedente giunta e l'attuale è cominciata. Insomma, l'antifascismo in questo caso verrà utilizzato come moneta per comprare l'opposizione critica all'Expo', disatmarla, neutralizzarla. Il metodo è riempire lo stomaco del cane da guardia con tutto l'antifascismo immaginabile possibile. E il cane a pancia piena non solo non morde più ma nemmeno abbaia.
Quindi ti prego di credere che la mia impennta anti antifascismo non ha niente di ideologico, non è una questione di appartenenza. Un po' come per il revisionismo, che ogni volta che lo fai ti dicono che è destinato non a fare le pulci a storici un po' biricchini e magari un po' mercenari (ottenere il favore del vincitore), ma per sostenere gli sconfitti e recuperarli al gradimento.
Ora, del revisionismo per andare avanti possiamo anche farne a meno, ma dell'aggressione alla fabbrica dei veleni impiegata per intossicare presente e futuro, se si è impegnati per la "politica", no. Qualsiasi sia la postazione occupata e il colre della camicia indossata.
Quindi, a parte altre iniziative, io ora cerco persone con le palle per un serio manifesto antiantifascista. Perché questa cosa che era prima un pretesto ideologico, ora è diventata un'arma per la conservazione e delegittimazione di tutto quanto sta oltre il disastro di certo pensiero politico e di certi modelli.

Andrea ha detto...

Così è tutto molto più chiaro.
Contento di esserti stato utile per rendere comprensibilissimo il nocciolo del problema.

Andrea ha detto...

Sempre in ferie la fascisteria milanese?

Anonimo ha detto...

Secondo me c'è un errore macroscopico nel tuo ragionamento.

Per chiarirlo, ti faccio un esempio. Mi pare che anche tu, come me, sia molto critico nei confronti del cristianesimo (se mi sbagliassi, non ha importanza. Ammettiamolo ai fini del discorso).

Ora immagina che ci troviamo a discutere con un "cristiano" che ritiene inaccettabile la nostra profonda critica del cristianesimo sulla base dell'argomentazione che lui, personalmente (e magari alcune decine di suoi amici) condivide solo una frazione minuscola delle credenze e delle pratiche delle Chiese cristiane che tutti conosciamo (ritenendo magari perfino di essere lui, insieme agli amici menzionati, a rappresentare il "vero cristianesimo").

Credo che gli obietteremmo entrambi semplicemente che la nostra critica radicale si rivolge al cristianesimo "realmente esistente", per quello che rappresenta in generale come fenomeno sociale. Che la nostra critica si rivolge contro le pratiche e le credenze della stragrande maggioranza dei "cristiani", non quelle di eventuali piccoli gruppi variamente minoritari (che per qualche ragione, pur dicostandosi radicalmente - di fatto - dal cristianesimo mainstream, ritengono di dover continuare a usarne l'etichetta).

Bene, un discorso del tutto analogo vale, mutatis mutandis, per il "fascismo" oggi realmente esistente e maggioritario (con il suo razzismo, la sua intolleranza, la sua xenofobia plebea, l'odio cialtrone che diffonde nei confronti dei "diversi" di ogni genere, magari pure con le sue pretenziose e grottesche stupidaggini "nazionaliste" o "cattolicheggianti" etc.) e al conseguente "antifascismo".

Naturalmente l'antifascismo esiste e ha senso politico in quanto si oppone a questa facies assolutamente maggioritaria, visibile e rumorosa del "fascismo".

L'antifascismo non solo ha una sua dignità politica, ma è una forma di resistenza necessaria (e, se intendi sul serio le critiche che rivolgi tu stesso a gran parte di ciò che oggi passa per - e quindi è - "(neo-)fascismo", credo che dovrebbe esserlo perfino per te. E non è un paradosso).

Così come una critica radicale al modello ideologico prevalente del "cristianesimo", anche una critica radicale al modello ideologico prevalente del "fascimo" è una necessità per aprire maggiori spazi di libertà: nella mente delle persone e nelle loro relazioni sociali.

Quanto a singole posizioni minoritarie, credo che debbano essere valutate di volta in volta: per quello che propongono, per quello che di liberatorio, di propositivo possono albergare, o per constarne la impraticabilità. Ma questo, come è ovvio, è tutto un altro dicorso, che con la resistenza "anticristiana" o "antifascista" nel senso definito in precedenza ha ben poco a che vedere.

Giuseppe

Carlos ha detto...

Murelli....sono quarant'anni che fai finta di essere "al fronte", ma sepre due passi indietro....a distanza sufficiente per non beccarsi una pallottola. Solo fortuna? "Lucky Murelli"?? NO. E' che non contavi un cazzo allora come oggi. Neanche il prezzo di un proiettile. Perchè uccidere un fascista non era reato E non lo è, nemmeno oggi. Carlos.